AGI - Il cardinale controllava, il cardinale muoveva le sue pedine anche dopo aver lasciato la segreteria di Stato; il cardinale tentava il depistaggio. Immaginava campagne stampa denigratorie, insultava gli inquirenti quando sapeva che chiedevano di Cecilia Marogna.
Scriveva all’uomo d’affari Enrico Crasso, oggi tra coloro che sono chiamati a rispondere di una serie di reati per la compravendita dell’immobile di Londra: “Al momento giusto bisognerà fare una bella campagna stampa. Anzi, lei potrebbe farla. Chieda al suo avvocato se è il caso di sbugiardare i nostri magistrati”. Di più: affermava di agire con il consenso di Papa Francesco. Le carte del rinvio a giudizio di Angelo Becciu, basate sulla testimonianza di diversi protagonisti della vicenda di Sloane Avenue, sono piene di riferimenti a quelle che gli inquirenti chiamano gravi interferenze del porporato nell’inchiesta.
Nella veste di suo accusatore emerge monsignor Alberto Perlasca, uno degli uomini chiave della Segreteria di Stato. Però Perlasca, secondo l’inchiesta, segue “un suo percorso” e giunge a collaborare pienamente con i magistrati, sentendo di essere stato aggirato proprio da Becciu e dalla sua raffinata tecnica del “grooming”.
Con blandizie e velate minacce, ma soprattutto facendo gioco sugli aspetti più deboli del suo carattere, Becciu lo avrebbe spinto o avrebbe cercato di spingerlo nel tempo a divenire un suo esecutore. Ma ad un certo punto Perlasca sceglie di collaborare e prima si fa interrogare senza il proprio avvocato, poi presenta addirittura un memoriale da cui, scrivono i giudici “emerge il profondo disprezzo nutrito dal Cardinale nei confronti dei componenti di questo ufficio, da lui definiti ‘porci’ dopo aver saputo che, durante il suo interrogatorio, essi avevano fatto cenno alla vicenda Marogna”.
Due giorni dopo essere stato ascoltato la prima volta dagli inquirenti, Perlasca si reca da Becciu e gli riferisce “tutto quello che aveva detto il Magistrato”. Al che Becciu, all’epoca non più numero due della Segreteria di Stato, rimane “molto turbato che si fosse toccato l’argomento (e dice ‘che porci!’)”. Non solo: rimprovera “aspramente” Perlasca per non aver cancellato una serie di messaggi dal proprio telefonino. “Gli dissi che non ne vedevo il motivo”, prosegue il racconto, “dal momento che lui mi aveva detto che l’operazione era stata voluta dal Santo Padre e quindi io pensavo di agire correttamente”.
Non è questo l’unico caso in cui Becciu spenderebbe il nome di Bergoglio. Nel maggio del 2020 emerge dal telefonino di un uomo d’affari italiano, Innocenzi Botti, uno screenshot in cui Becciu scrive “ho telefonato al Sommo, contento del mio modo di procedere”. L’episodio avviene, scrivono gli inquirenti, nell’ambito di un vero e proprio tentativo di depistaggio orchestrato per bloccare l’inchiesta sull’immobile londinese di Sloane Avenue.
“Si può concludere” si legge negli atti del rinvio a giudizio, “che Becciu nel maggio del 2020 abbia dato avvio” avvalendosi del contributo di alcuni personaggi del mondo immobiliare e finanziario italiano, “ad un’opera di depistaggio delle indagini che da un lato ha avuto un peso determinante nella decisione di spiccare mandato di cattura nei confronti di Gialuigi Torzi”, cui viene ora contestata l’ipotesi di estorsione, “e dall’altro è stato sventato dalla prudente e provvidenziale iniziativa della Segreteria di Stato”.