AGI - Un affermato manager, con una carriera in ascesa e un ruolo professionale gestito con orgoglio, che all'improvviso sente il mondo crollare attorno a sé per una serie di situazioni negative che non sa gestire e che lo accompagnano verso il baratro. Ecco perché la sera del 6 marzo del 2013 David Rossi, capo della comunicazione della banca Monte dei Paschi di Siena, decise di togliersi la vita gettandosi dalla finestra del suo ufficio presso Rocca Salimbeni.
Il suo fu un suicidio, come certificato già dai provvedimenti di ben tre giudici, due gip di Siena che hanno archiviato l'inchiesta sulla sua morte e un giudice di Genova che non ha trovato anomalie nelle indagini portate avanti dai pm toscani. Ma a pensarla allo stesso modo è anche Raffaele Ascheri, autore di un libro (editore Cantagalli) dal titolo 'Cronaca di un suicidio (annunciato)', in uscita a partire dal 9 luglio.
Ascheri non è un giornalista professionista ma uno scrittore di inchiesta, che ha avuto il merito di aver svelato molti degli scandali che hanno segnato negli ultimi anni la città di Siena: ha seguito sin dall'inizio il caso Rossi e in questo libro spiega al lettore, sulla base di documenti e circostanze oggettivamente incontrovertibili, perché questo importante manager ad un certo punto abbia voluto togliersi la vita.
Ascheri, nel ricostruire la vicenda, è lucido e coerente: fa parlare le carte, rispolvera verbali di testimonianze curiosamente sottovalutate o messe da parte da altri, evita i voli pindarici di chi ha cavalcato mediaticamente il caso solo per fare audience al punto da promuovere l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta.
Dunque, nessun omicidio, nessuna istigazione al suicidio. Rossi si tolse la vita nel momento in cui l'autorità giudiziaria accese un faro su chi gestì Mps e, in particolare, l'operazione Antonveneta, 'in primis' l'ex presidente Giuseppe Mussari. E Rossi, che fino a quel momento aveva lavorato sotto l'ombrello protettivo del vecchio management, cominciò a perdere ogni certezza quando il 19 febbraio del 2013 subì (non in veste di indagato) una serie di perquisizioni, in ufficio, in casa e nella macchina.
Pochi mesi prima (novembre 2012) aveva perso il padre e la crisi del Monte, per la quale lui temeva un arresto di lì a poco, si era andata ad aggiungere alle preoccupazioni per lo stato di salute della moglie.
Poche ore prima del suicidio, Rossi, come riporta Ascheri, ebbe un colloquio con una "consulente aziendale-soggetto formatore", la dottoressa Carla Lucia Ciani, cooptata dalla nuova dirigenza MPS per agevolare l'integrazione tra vecchi manager e quelli appena arrivati. E la testimonianza della 'coach' è illuminante perché evidenzia, in modo neutro e senza pregiudizi, un contesto "presuicidario".
"Si sentiva quasi il senso di disgrazia imminente - è il ricordo dell'esperta a proposito di David Rossi - questo era fortissimo, usava espressioni quali: 'ho paura che mi possano arrestare'; 'ho paura di perdere il lavoro' come se fosse accusato di qualcosa... lui mi ha detto che addirittura pensava che io fossi li' per aiutarlo a comunicare le sue dimissioni".
E ancora, dalle parole della dottoressa Ciani: "L'impressione che ho tratto dall'incontro è che lui avesse vissuto l'esperienza lavorativa in un contesto protetto: ad un certo punto invece si è sentito solo e questa condizione gli ha creato una sorta di apnea da panico che non sapeva gestire... lui disse che non riusciva a trovare un appoggio e ciò gli dava una continua frustrazione. A me ha dato l'impressione che, perso il lavoro (come lui pensava di perdere, ndr), avrebbe perso tutto, avrebbe perso se stesso, proprio perché non c'era distacco in lui fra vita privata e lavorativa, quasi che il suo ruolo professionale fosse tutta la sua vita".
Nel finale del verbale reso ai tre pm di Siena, viene sintetizzata dalla teste la pluralità di cause che avrebbero portato poi Rossi a uccidersi: "Mi parlò della paura di essere arrestato, del fatto che sua moglie non fosse in condizione di sostenersi, che avrebbe perso il lavoro se fosse successo qualcosa di grave".
Questo stato di grave difficoltà psicologica del manager emerge da tante altre dichiarazioni testimoniali, citate con precisione nel libro, da parte di chi ha frequentato Rossi gli ultimi giorni della sua vita. "Testimonianze coerenti, concordi e univoche", tra l'altro inizialmente confermate dalla famiglia di Rossi, salvo poi un deciso cambio di rotta quando è prevalsa l'idea di sollecitare nuove indagini cavalcando il sospetto (non suffragato dalle carte giudiziarie) che il manager fosse stato ucciso perché aveva deciso di collaborare con la magistratura e raccontare tutto quello che sapeva su Mps. Nulla di tutto cio'. La conclusione dell'autore, sul punto, è tranchant: "Il caso Rossi è stato gonfiato, per motivi che i lettori attenti avranno ben compreso, talmente a dismisura, che libri se ne potrebbero - forse, dovrebbero - scrivere altri tre o quattro, per andare a scandagliare anche ulteriori, pietosi, anfratti. Magari tutti i suicidi fossero analizzati con siffatta acribia, magari. Dal punto di vista giudiziario, dopo 8 anni il fronte omicidiario ha in mano il niente, ammantato dal nulla".