AGI - “Le riforme aiuteranno, ma non saranno risolutive se non saranno accompagnate da un rinnovamento dei costumi, da parte di ciascuno, sul piano personale, e da parte dell’intera categoria”. Lo sottolinea la ministra della Giustizia Marta Cartabia, nel suo discorso per l’evento in Cassazione organizzato dall’Anm in memoria di Rosario Livatino, il giudice, oggi beato, assassinato dalla mafia nel 1990.
“Possiamo modificare l’organizzazione e i sistemi elettorali dell’organo di autogoverno, possiamo cambiare le regole per le nomine e rafforzare tutte le possibili incompatibilità e i divieti, possiamo rivedere i meccanismi dei giudizi disciplinari: possiamo discutere su ogni riforma possibile, lo stiamo facendo e lo faremo. Ma tutto questo, dobbiamo esserne consapevoli – ha sottolineato Cartabia - potrà al più aiutare a contrastare le patologie, ma nessuna cornice normativa, per quanto innovativa e radicale, potrà di per sé generare quello stile e quella statura che i cittadini si attendono dal giudice”.
“‘Disciplina e onore’, ‘indipendenza e imparzialità’, richiede la Costituzione”, ha sottolineato Cartabia, esortando le toghe ad alzare lo sguardo "oggi più che mai" al “modello senza tempo” di magistrato rappresentato da Livatino, il quale visse il suo giuramento in toga “come impegno solenne, davanti a se stesso, a Dio, e a tutta la Repubblica italiana che lo chiamava a svolgere le funzioni pubbliche a lui affidate con ‘disciplina e onore’, come richiede l’articolo 54 della Costituzione. Una disposizione troppo spesso ignorata – ha rilevato la Guardasigilli - dimenticata, trascurata".
Dunque, “in questa stagione storica segnata, non possiamo sottacerlo, da una profonda crisi della magistratura e da una altrettanto profonda e assai preoccupante lacerazione del rapporto di fiducia con i cittadini”, ha osservato Cartabia, la quale racconta di sentirsi chiedere “in ogni occasione, specie dalle più giovani generazioni, ‘ministro, come possiamo avere fiducia nella giustizia?’”, le parole di Livatino su “indipendenza, credibilità, travaglio” possono essere “una traccia per ripartire, così come la sua breve, riservata e operosa esistenza un punto di riferimento per contrastare lo smarrimento”.
“La crisi di credibilità di cui tutti oggi dicono non è solo questione di nuove regole e non chiama in causa soltanto il legislatore, affinché pensi e realizzi riforme che possano arginare il pericolo delle degenerazioni, ormai comunemente appellate come correntizie. È anche, se non soprattutto, una crisi culturale”, ha detto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, nel corso dell’evento organizzato in memoria di Rosario Livatino. “Su questo terreno, attore importante di una ripresa del necessario rigore etico è proprio l’Anm: una reazione alla capacità diffusiva di comportamenti eticamente discutibili sta anzitutto nella riaffermazione dei valori della professione attraverso l’esempio che proviene da quanti ne hanno saputo essere interpreti straordinariamente fedeli”.
Livatino, ha ricordato il presidente dell'Anm, "tratteggiava la figura del magistrato, il profilo del dover essere, come persona seria, equilibrata e responsabile e aggiungeva che il magistrato deve essere 'una persona umana capace di condannare ma anche di capire".
Un monito, secondo Santalucia, "di grande importanza: l’accento è non soltanto sulla capacità di essere rigorosi applicatori della legge, con tutto il carico di severità punitiva che a volta essa esprime, ma sull’attitudine alla comprensione dell’uomo che si ha di fronte". Per essere "all’altezza di un compito talmente arduo - ha osservato ancora il leader del sindacato delle toghe - occorre però essere indipendenti, realmente indipendenti, e quindi sperimentare l’indipendenza come forma mentale, costume di vita, coscienza di un’entità professionale, per mutuare le parole di una lontana ma attualissima sentenza della Corte costituzionale. Sembrano traguardi irraggiungibili, alla portata appunto di figure eroiche, come quella di Rosario Livatino.
A noi per intanto - ha concluso - spetta il compito di non perderli di vista e di non smarrire la direzione che essi tracciano".