AGI – Come in ogni guerra di secessione che si rispetti, ci si divise tra Federati e Confederati. Federazione Italiana Giuoco Calcio contro Confederazione Calcistica Italiana. Ricchi contro poveri e popolo grasso contro popolo minuto oppure, se piace di più, razionali amanti del gioco più bello del mondo contro piccoli egoisti mossi da interessi di provincia, o di bottega. Ciascuno, una volta letti gli atti, decida per conto suo. E veda se questa storia non ricorda tremendamente l’attualità anche se tutto accadde esattamente cent’anni fa, nella lunga estate calda del 1921.
Per dire i tempi: i macchinari delle fabbriche ribollivano ancora della rovente passione del Biennio Rosso; D’Annunzio ha appena abbandonato Fiume; il neonato Partito Comunista è ben avanti nello svezzamento e le squadracce fasciste scorrazzano per la Bassa.
Ci mancava solo il pallone.
Il problema è presto detto, pur nella sua complessità. Un eccesso di iscritti al campionato, che di conseguenza era andato dividendosi in una sarabanda di tornei minori: tutti con la stessa dignità ma nessuno degno di essere giocato, se non per andare a disputare la finalissima. E poi la finalissima stessa: l’ultima prima della separazione vede il Pisa soccombere con la Pro Vercelli per 2-1 fra tibie fratturate e accuse all’arbitro di aiutare i piemontesi. Il Pisa non avrà mai più una chance così; in compenso il caos è già scoppiato ed è in pieno svolgimento.
Infatti la sera prima dell’incontro (il 23 luglio: un campionato così lungo non poteva finire che in piena estate) a Torino si è riunita, alla Camera di Commercio, l’assemblea generale della FIGC. All’ordine del giorno i bilanci e, come se nulla fosse, nelle varie e eventuali la presentazione della riforma del campionato, affidata un anno prima a Vittorio Pozzo.
Pozzo, che sarebbe passato alla storia per il doppio successo mondiale del decennio successivo, era uno che sapeva stare al mondo perché il mondo l’aveva girato.
Sapeva benissimo perché gli avevano affidato la commissione riformatrice: per affossare il problema della riforma stessa con il metodo della chiamata a consulto degli esperti. Così lui aveva schivato l’ostacolo, che avrebbe significato anche la fine della sua carriera personale, convocando i saggi, poi assecondandone le ritrosie, infine eliminandoli uno ad uno e giungendo solo al traguardo.
Il progetto portato in discussione a Torino era tutta esclusiva farina del suo sacco. Avrebbe ricordato anni dopo: “scrivevo sapendo quello che sarebbe successo, e non nascondo che una punta di ironico piacere mi faceva immaginare il putiferio che si sarebbe scatenato attorno alle mie proposte, al momento dell’assemblea”.
Aveva visto giusto.
Juventus e Milan, ancora loro
Il “Progetto Pozzo” viene presentato con il suo campionato a girone unico, le sue retrocessioni in B e le sue promozioni dalla serie cadetta, con il suo calendario non modificabile in corso d’opera, soprattutto con la sua riduzione delle squadre ammesse. Quelle rappresentate in sala, per capire, sono circa 200. Sarebbero scese, più o meno, di tre quarti del totale.
Due giorni dura la mischia in area: sedie lanciate, insulti sputati in faccia, accuse e tradimenti. Votazione finale di una mozione lapidaria: “L’Assemblea respinge il Progetto Pozzo”. Approvato! Si metta a verbale: 65 sono con la riforma, 113 contro. Ma non finisce qui, anche perché l’establishment del pallone è tutto dalla parte dei perdenti.
L’Aventino quell’anno non lo fecero i socialisti e nemmeno i popolari, ma un gruppo di società capitanate – si presti attenzione perché la tentazione del deja vu a questo punto si fa forte – da Juventus, Milan, Pro Vercelli e Genoa. Nacque la Confederazione Calcistica Italiana. Troppo difficile trattenersi dallo scrivere: una Superlega, opposta alla Federazione. Da questo momento in poi, anche per chiarezza di esposizione, li chiameremo rispettivamente Federati e Confederati, sennò è immancabile la confusione.
Primo atto federato: riconoscere la validità dello scudetto vinto dalla Pro Vercelli. Pisa rassegnati, anche perché ti sei messa con i nemici. Primo atto confederato: organizzarsi un campionato tutto proprio, articolato in 30 squadre di tutte le regioni, soprattutto al Sud. Inutile dire che i federati invece erano nordisti: non scendevano più in giù della Toscana.
Partono le competizioni, nella reciproca e sorda ostilità. Ed è qui che iniziano a raffreddarsi le teste e a funzionare le meningi. Quando la Nazionale, qualche settimana dopo, deve confrontarsi con la Svizzera si pone il problema delle convocazioni. Si sceglie di lasciare a casa i giocatori confederati: si farà con quel che c’è. Ma è chiaro, anche se si rimedia un dignitosissimo 1-1 con i più quotati elvetici, che l’impresa non sarà replicabile all’infinito. Caporetto è dietro l’angolo: tra poco ci sarà un big match con l’Austria, superpotenza dell’epoca.
La vittoria dei falchi
Qualcuno allora inizia a pensare alla mediazione, e a un mediatore. Viene convocato Emilio Colombo, che ha un nome democristianissimo mentre invece è il direttore della Gazzetta dello Sport. Fedele al mandato, e forse anche al nome, propone un accordo. Macché, bocciato: vincono i falchi e gli irriducibili.
Mica del tutto, però, perché intanto il furbacchione riesce a far rientrare in Nazionale i confederati. Così con l’Austria finisce bene: 3-3, e addirittura all’inizio del secondo tempo era 3-1 per i nostri. E siccome gli Europei ancora non esistono, ma le sfide europee sono sentitissime, la formula funziona anche con la Cecoslovacchia, che pure è stata finalista alle Olimpiadi di Anversa.
Ancora un pareggio, sì, e con una vittoria mutilata (1-0 a quattro minuti dalla fine). Intanto però siamo tornati nel novero delle grandi.
Quando finisce il loro campionato, i confederasti festeggiano: vince ancora una volta la Pro Vercelli, che però pare capitana da Pirro. Scolato lo champagne, si guardano attorno e si accorgono tutti – dirigenti, società, Confederazione Calcistica - di aver vinto nel deserto. La Fifa non li riconosce, nessuno li vuole. Così non si va da nessuna parte.
Tra i Federati il campionato è della Novese, ma nessuno si fa illusioni: il torneo vale ben poco, senza le grandi. La stessa Novese ha vinto, sì, ma intanto i suoi migliori uomini non c’erano perché impegnati in un raduno della Nazionale in vista dell’incontro con il Belgio.
Miglior dimostrazione di debolezza, di fronte alle istituzioni calcistiche, non si può dare. Una ragione, o un torto, divisi per due danno solo due debolezze. Urge il ripensamento.
Alla fine la spunta lui
Ci pensa ancora lui, Emilio Colombo. Tre gironi per 36 squadre in totale nella Prima Divisione (poi ridotte a 24 in un girone unico), reintegro degli scissionisti senza sanzioni, Seconda Divisione a livello nazionale, poi la Terza e la Quarta regionali e interregionali. In fondo, molto di simile a quello che accade oggi.
Quanto alla vittoria in campionato, basta guardare l’albo d’oro della Serie A per capire. La stagione 1921-22 viene assegnata alla Pro Vercelli. Ma anche alla Novese. Emilio Colombo era riuscito nel miracolo: ancora non c’era il fascismo che già l’Italia era democristiana.