AGI - Potrebbero arrivare da alcuni farmaci antipsicotici possibili nuove molecole in grado di arrestare i meccanismi indotti dalla sclerosi multipla. A scoprirlo un gruppo di ricercatori del laboratorio del Signal Transduction lab di Ferrara guidato dai professori Paolo Pinton e Carlotta Giorgi del Dipartimento di Scienze Mediche in collaborazione con il gruppo di ricerca coordinato dal professor Michele Simonato e con l'U.O. di Clinica Neurologica diretta dalla professoressa Maura Pugliatti, entrambi del Dipartimento di Neuroscienze e Riabilitazione. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
Complessa e imprevedibile, la sclerosi multipla è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale. Caratterizzata da una sintomatologia facilmente confondibile con altre condizioni, colpisce oltre due milioni di persone nel mondo, con una decisa prevalenza delle donne. Nonostante la sua diffusione e le tante ricerche in corso, le risposte terapeutiche restano poco soddisfacenti, soprattutto per le fasi avanzate della malattia. "La sclerosi multipla - ha spiegato Simonato - è caratterizzata da una risposta anomala del sistema immunitario che attacca alcuni elementi del sistema nervoso centrale, in particolare gli oligodendrociti, responsabili delle comunicazioni tra neuroni, scambiandoli per corpi estranei".
"Si tratta - ha spiegato Carlotta Giorgi dell'Università di Ferrara - di un caso estremo di autofagia: di norma nel nostro corpo, questo meccanismo ci consente di rinnovare componenti che si stanno degradando, ma in alcuni rari casi può sfuggire al controllo della cellula stessa, che comincia a digerirsi. Grazie a dei biomarcatori, abbiamo notato che l'autofagia era molto frequente nei pazienti affetti da sclerosi multipla, e quindi ci siamo chiesti se potesse giocare un ruolo causale. Ad oggi, sono ancora molti i punti interrogativi sulle cause della sclerosi multipla, pertanto, ogni studio che vuole approfondirne l'eziologia, è incoraggiato". Date le complessità intrinseche dello studio della malattia, come il difficile accesso al tessuto nervoso umano, i ricercatori hanno dovuto alternare prove sperimentali in vivo (pazienti e animali) e in vitro (riproduzione cellulare).
"Abbiamo testato - spiega Simone Patergnani - diversi tipi di molecole, accomunate dal fatto di essere in grado di bloccare i meccanismi di autofagia, per vedere se questo potesse preservare gli oligodendrociti, ostacolando l'avanzare della malattia". "Non soltanto abbiamo trovato sostanze che permettono di salvare il sistema nervoso - conclude Pinton - ma la cosa interessante è che alcune di queste sono contenute in farmaci già in commercio, come gli antipsicotici. Questo è stato un grande risultato, in quanto faciliterebbe incredibilmente l'immissione del farmaco sul mercato, favorendone la diffusione. Un ulteriore esempio di come sia possibile fare ricerca di alto livello in Unife grazie alla collaborazione tra gruppi di ricerca provenienti da ambiti diversi".
Il farmaco proposto dal team di ricercatori darebbe i maggiori benefici nella fase progressiva della malattia, quando le fasi acute si susseguono senza permettere al corpo di riprendersi. Una fase molto delicata, soprattutto perchè fino ad oggi non esistevano cure, ma solo terapie palliative.