AGI - Il confronto con la teoria della “pallottola magica” che uccise John Fitzgerald Kennedy viene spontaneo, e niente te lo toglie più dalla testa. Una dei due proiettili che attraversarono il corpo di Papa Wojtyla, il 13 maggio di quarant’anni fa, seguì un andamento che lasciò stupefatti i medici che presero in cura il Pontefice. Si contorse, quella traiettoria, cambiò direzione e raggiunse un fianco dove non avrebbe dovuto passare. Risultato: l’intestino perforato cinque volte ma nessun organo vitale compromesso; la colonna vertebrale che avrebbe potuto finire in pezzi e invece venne appena sfiorata.
Ancora adesso non si trova spiegazione scientifica, perché lo sanno anche gli studenti al primo anno di medicina che i tessuti molli dell’organismo umano non hanno la consistenza per deviare una pallottola. Quelle che Ali Agca sparò al Papa, poi, erano munizioni da guerra. La pistola era fatta per non fallire, in mano ad un killer professionista. Figuriamoci.
Resta così aperto uno dei tanti misteri su quell’attentato, che nel 1981 parve a tutti essere l’attacco del socialismo reale ad un reale pericolo per quello che allora Ronald Reagan chiamava l’Impero del Male. Giovanni Paolo II, che quel sistema lo conosceva bene essendoci trovato in mezzo per la maggior parte della vita, non fece mai sua la definizione. Ugualmente senza di lui è difficile immaginare che l’’89 sarebbe stato quello che è stato. E tutto cominciò, o almeno entrò nella sua fase più acuta, quella giornata di maggio in cui la Chiesa ricordava, tra l’altro, le apparizioni a Fatima.
Antonio Preziosi, che è stato consigliere del Papa (Benedetto, in questo caso) per i temi della comunicazione, ricostruisce allora quella giornata. Sarebbe meglio dire: quelle ore. Ancora meglio: quei minuti. Perché tutto si giocò sul filo dei secondi. Ne è scaturito un libro, “Il Papa doveva morire”, edito da San Paolo, che ricostruisce e spiega lo spiegabile, narra e lascia in sospeso l’inspiegabile. E quest’ultimo è tanta parte della vicenda, in cui equilibri internazionali, testimonianze di fede, messaggi profetici e attese messianiche si toccano e si incrociano lasciando in fondo il dubbio: ma sarà mai stato possibile?
Possibile lo è stato, perché è avvenuto. “Vere resurrexit” proclama la Chiesa nel pieno del meno credibile, ma più autentico, degli annunci. Tutto è possibile, appunto, soprattutto se esistono circostanze su cui né la verità processuale, né la futura ricerca storica sembrano essere in grado di soddisfare anche il più ben disposto dei pubblici.
Del resto Preziosi, che di comunicazione come si è visto se ne intende, ha la sapienza per lasciar le cose in sospeso, a discrezione cioè della predisposizione di chi legge a scegliersi una spiegazione, oppure l’altra.
Essendo egli stato anche un cronista di quelli che corrono dietro alle volanti, sa bene che in fondo per capire il come mai degli accadimenti basta mettere le cose una in fila all’altra, e il quadro appare chiaro. La semplice cronologia che è la narrazione più esauriente.
Il sicario che indietreggiava troppo
Ecco allora che il suo libro può apparire in qualche modo minimalista, mentre in realtà fa calare nel paradosso di un pomeriggio (di nuovo: poche ore, tra le 17 e le 22) in cui sembrò che tutto fosse rovesciato e che la lotta degli uomini per gestire la Storia sia destinata a sembrare quella delle formiche contro il tapiro. Si avvicina un uomo al Papa: è il migliore killer dell’estrema destra turca ed ha in mano una pistola da guerra. Dovrebbe sparare 12 proiettili, ne partono solo due, forse tre (anche qui: nessuno è in grado di dire quanti, come a Dallas). Fugge, lo bocca una suora, indietreggia e cade a terra inciampando in un sampietrino come un inetto.
Il Papa è grave, l’ambulanza nuovissima consegnata al Vaticano appena il giorno prima non riesce ad arrivare. Per puro caso però il suo medico personale sta uscendo in quella dalla Porta Sant’Anna, contrariamente alle sue abitudini e ai suoi orari. Arriva una seconda ambulanza, un vecchio catorcio. Parte per il Gemelli nel traffico di Roma, che in quel punto e in quel momento è sempre più caotico proprio per via delle udienze papali. Si rompe la sirena, la scorta in moto non ha fatto in tempo ad arrivare, si va avanti con il clacson.
Gemelli: portatelo in rianimazione. No, arriva alla stanza riservata al Pontefice per ogni evenienza. Ma bisognava portarlo al nono piano, non al decimo. Si scende, aspettando l’ascensore e con il Papa ormai privo di sensi. Ecco la sala operatoria. La porta è chiusa a chiave e nessuno l’ha aperta. Arriva un medico giovane: sfonda la porta a calci e spallate. Il paziente viene definito dalla Sala Stampa Vaticana in stato preagonico. Ha un rigetto alla prima trasfusione di sangue.
Eppure ce la fa, il Papa, e quattro giorni dopo con tenacia tutta polacca, di chi ha resistito al nazismo e sa come si fa con i bolscevichi, è già lì che registra l’angelus domenicale per le migliaia e migliaia di persone che sono comunque andate in Piazza a San Pietro pur sapendo che nessuno si affaccerà alla finestra del Palazzo Apostolico.
E viene davvero da chiedersi: ma è possibile? Sì, lo è. È successo. Mettete insieme il racconto di quelle ore e ve ne accorgerete.