AGI - Quando una bottega storica abbassa per sempre la saracinesca si chiude una storia. Se ne può iniziare un’altra ma quella è finita per sempre. È su questo principio che nasce la “Disciplina per la tutela e la valorizzazione delle botteghe storiche”, proposta di legge n. 267 del 30 dicembre 2020, attualmente in Commissione Bilancio del Consiglio regionale del Lazio per l’analisi delle disposizioni finanziarie.
“Da anni in Italia si sta facendo strada il ‘modello Venezia’ che priva il centro storico delle sue peculiarità trasformandolo in un insieme di B&B e minimarket e svuotandolo di residenti. La proposta di legge punta proprio a mettere un freno a questo trend”, spiega all’AGI il consigliere regionale Demos, Paolo Ciani, anche vicepresidente della Commissione Sanità alla Regione Lazio.
La bottega storica non è un negozio qualsiasi: è testimone di una società che cambia e memoria di tempi ormai andati. Non solo: è ciò che differenzia il centro di Roma da quello di Madrid, di Londra, di New York e di Tokyo.
Affitti troppo alti da pagare, clienti sempre meno ‘affezionati’, articoli che passano quasi in disuso: sono molti i motivi per cui una bottega storica si ritrova a chiudere i battenti. Ma “se contro una società che cambia abitudini c’è poco da fare, molto si può contro il caro-affitti e la burocrazia – dichiara all’AGI Marta Leonori, consigliera e capogruppo del Pd in Consiglio regionale, tra i promotori della legge –. Secondo l’ultimo censimento 2002-2012, nel centro di Roma si è passati da oltre 5.000 botteghe storiche a meno di 2.000 nel 2012. E parliamo di quasi 10 anni fa”.
Alcune chiusure hanno fatto molto rumore. È il caso, per esempio, del laboratorio del plissé delle sorelle Antonini, in via Quintino Sella, che permise alla gonna di Marilyn Monroe nel film "Quando la moglie è in vacanza" di svolazzare nel modo in cui tutti la ricordiamo. Nel 2019, dopo 100 anni di lavoro e quattro generazioni, il negozio non ce l’ha fatta a resistere alla richiesta di affitto da parte del Demanio. Troppo alta la rata, troppo pochi i clienti.
Qualche anno prima, nel 2016, era toccato a un altro nome altisonante dell’artigiano romano gettare la spugna: Crocianelli, la passamaneria di via dei Prefetti fondata nel 1870. È “per evitare che altre botteghe – locali storici, attività tradizionali, botteghe d’arte e antichi mestieri – vadano incontro alla stessa sorte di Crocianelli e Antonini che è nata la legge”, aggiunge Leonori.
“La bottega storica nasce in spazi che erano popolari e che ora sono diventati di lusso”. E proprio questo aspetto “è una delle maggiori cause di chiusure”, osserva Giulio Anticoli, presidente dell’Associazione botteghe storiche Roma. Questa legge “mette a posto un po’ di mancanze che c’erano e contro le quali noi abbiamo sempre lottato”, dice Anticoli che ricorda “un’insegna della Singer in via Alessandria, demolita perché le nuove leggi non permettevano le insegne a bandiera. Era bellissima”.
Poi rileva: “Penso anche alle botteghe di via Margutta, dentro il cortile in cui girarono ‘Vacanze romane’. Sono restauratori ospiti dell’Istituto per non vedenti di Sant’Alessio, pagano per un locale di 30 mq 1.700 euro più iva”.
Per Anticoli, il “rischio chiusura è esponenziale”. Due i fattori che hanno inciso in maniera definitiva. "Il primo è la legge Bersani che ha abolito le tabelle merceologiche, le quali stabilivano che, ad esempio, un negozio di abbigliamento doveva stare almeno a 100 metri di distanza da un altro, e così per le ristorazioni. Con l’abolizione di questi vincoli, Roma si è trasformata, sono sparite le attività tradizionali, le lavanderie, gli artigiani, gli alimentari e al loro posto sono nati fast food ed esercizi commerciali a misura di turista ma che spingono i residenti ad andare via dal quartiere”.
“Il secondo elemento che ha sancito il crollo di queste attività è il Covid con le restrizioni alla circolazione delle persone”, sostiene Anticoli, secondo cui, dunque, il centro storico ha perso “residenti, attività e ora anche i turisti”.
Ma una cosa è certa, e la legge lo riporta nero su bianco: “Quanto ancora rimane di questo patrimonio, ormai largamente disperso, deve essere assolutamente tutelato”. Nello specifico, la normativa prevede che “la tutela di botteghe e mestieri significa anche la tutela di una cultura del lavoro preziosa e un elemento fondante e ancora attuale del Made in Italy.
Inoltre, il riconoscimento di bottega storica può attivare azioni concrete di marketing territoriale, con una maggiore visibilità e una maggiore capacità di attrarre nuova clientela”. Alcune amministrazioni comunali come Roma – si legge nel testo – “hanno già provveduto con delibere a disciplinare la materia, affinché queste attività non solo non scompaiano, ma assumano sempre di più il valore di patrimonio storico e culturale che loro compete.
Nonostante l’impegno degli enti locali appare, però, indispensabile disciplinare a livello regionale questa delicata materia dando, in primo luogo, a tali attività collocazione analoga ai beni culturali per garantire la loro tutela, l’eventuale imposizione di vincoli e la previsione di sostegni economici per favorire la continuità della gestione, per avviare progetti formativi finalizzati all’introduzione di giovani leve in mestieri che, diversamente, sono a rischio di scomparsa”.
In particolare, la Regione “promuove, anche in collaborazione con i Comuni, iniziative volte alla valorizzazione delle botteghe storiche e alla salvaguardia”.
Ma cosa si intende per bottega storica?
La legge individua nei “locali storici i locali e le botteghe connotati da valore storico-artistico e architettonico destinati ad attività di commercio, somministrazione, artigianato o miste, compresi cinema, teatri, librerie e cartolibrerie, svolte continuativamente anche da soggetti diversi e in modo documentabile da almeno settanta anni”.
Accanto alle “storiche” ci sono poi “le botteghe d’arte e di antichi mestieri, ovvero quelle nelle quali sono svolte, in modo documentabile da almeno cinquanta anni, attività artistiche consistenti in creazioni, produzioni e opere di elevato valore estetico, comprese quelle che richiedono l’impiego di tecniche di lavorazione tipiche della tradizione regionale, e attività artigiane e commerciali che hanno conservato antiche lavorazioni, prevalentemente manuali, e tecniche di produzione derivanti da tradizioni o da culture locali che rischiano di scomparire, ivi comprese le attività di restauro dei beni culturali e degli oggetti d’arte, dell’antiquariato e da collezione”.
Infine, destinatarie di sostegno e tutela sono anche “le attività tradizionali, le attività di commercio e somministrazione in sede fissa, artigianato o miste, compresi cinema, teatri, librerie e cartolibrerie, svolte, in modo documentabile, continuativamente, nel medesimo locale, da almeno cinquanta anni, con la stessa tipologia di vendita”.
Ma in che modo saranno tutelate?
L’articolo 4 della normativa “elenca gli interventi per la salvaguardia e la valorizzazione delle botteghe storiche, a partire dalla possibilità, da parte dei comuni, di ridurre i canoni di locazione o gli altri oneri sugli immobili di loro proprietà, con la copertura finanziaria dei contributi della Regione.
Contributi che sono previsti anche per i proprietari e i gestori delle botteghe storiche, secondo le priorità indicate al comma 2 dell’articolo quattro (collocazione all’interno di un edificio storico classificato; presenza di una architettura d’autore o di elementi architettonici di pregio; presenza di una riconosciuta tradizione familiare; esercizio di un’attività storica o tradizionale regionale; riconoscimento dello specifico valore storico, artistico culturale e ambientale di botteghe e locali o delle attività tradizionali ovvero del particolare pregio dei prodotti offerti; presenza di strumenti, apparecchiature, arredi e suppellettili di specifico interesse artistico e storico)”.
“Essendo questa una legge quadro – ricorda Ciani – non contiene indicazioni specifiche sui ristori, ma all’interno di un ripensamento di un commercio soprattutto nella città di Roma c’è il tema di come sostenere questa parte del commercio”.
Con che tipo di interventi economici, “quello va studiato bene insieme. Ma definire una categoria di commercio già è un passo in avanti verso la tutela, anche nell’ottica di precisi sostegni. Ci permetterà di fare interventi mirati – prosegue Ciani –. Tra le ipotesi sul tavolo c’è, ad esempio, la defiscalizzazione degli affitti che molto aiuterebbe nello sforzo di contenimento delle spese”.
Per Ciani, la legge “è un segnale che la Regione vuole dare a tutto il territorio, a tutte le famiglie che non hanno mollato. E anche una prospettiva sulle città del futuro che immaginiamo”.