AGI - La disciplina dell'ergastolo ostativo, facendo della collaborazione "l’unico modo" per il condannato di recuperare la libertà, "è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo".
Lo afferma la Corte Costituzionale che ha esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale.
Condizionale preclusa anche con il ravvedimento
Palazzo della Consulta, in attesa del deposito dell'ordinanza con la quale la Corte ha stabilito di rinviare al maggio 2022 la trattazione delle questioni sollevate dalla Cassazione, per consentire al legislatore di intervenire sulla materia, fa sapere che i giudici hanno anzitutto rilevato che la "vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro".
L'intervento del legislatore
Sull'ergastolo ostativo occorre un intervento del legislatore: per questo la Corte Costituzionale, ritenendo che "l'accoglimento immediato delle questioni" sollevate dalla Cassazione "rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell'attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata", ha stabilito di rinviarne la trattazione a maggio 2022, per "consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi".