AGI - “Venti anni della nostra storia sono stati segnati dall’impegno in Afghanistan: qui sono stati migliaia di ragazzi, molti sono rimasti feriti, molti altri sono caduti. Abbiamo costruito qualcosa di importante in posti impensabili e bellissimi. Ma certo non si puo’ avere il rimpianto di andarsene da casa degli altri”. Il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi, primo italiano ad aver ricoperto il ruolo di capo di Stato Maggiore della missione Isaf tra il 2008 e il 2009, parla con l'AGI della svolta annunciata dal presidente Usa.
“Se ne era parlato più volte, già ai tempi di Obama, e poi non se ne era fatto niente. Il fatto che lo stesso punto di vista ora sia condiviso da Trump, che aveva programmato il ritiro dall’1 maggio, e dal suo acerrimo rivale democratico Biden, che parla di 11 settembre, fa pensare che questa sia la volta buona, o la volta cattiva. A seconda dei punti di vista”.
Per Bertolini, che in Afghanistan era stato già nel 2003 ai tempi dell’operazione Nibbio, “è’ cambiato l’approccio americano ad un Paese estremamente complesso: i motivi sono tanti, non è che si sia andati lì per sostituire la minigonna al burqa, è che gli Usa evidentemente oggi non hanno più interesse ad essere presenti militarmente in modo forte. E’ cambiata la loro prospettiva, pensano probabilmente a dislocarsi su altre aree di crisi. Certo, resteranno dal punto di vista diplomatico e commerciale, hanno costruito una ambasciata a Kabul che è una fortezza, e non credo proprio che la lasceranno vuota. E la presenza militare diminuirà in modo vistoso ma resterà importante. Ma l'Afghanistan non è diventato nè poteva diventare un Paese occidentale, e i terroristi non sono spariti: dopo Al Qaida ora c'è l’Isis ”.
“Noi – ricorda il generale – abbiamo ricoperto un ruolo importantissimo, non eravamo uno dei 40 Paesi che partecipavano alla missione ma uno dei quattro – con Usa, Gran Bretagna e Germania – che avevano di fatto ciascuno il controllo di un quarto del Paese. Rientriamo portandoci dietro il dolore delle vite perdute ma anche la consapevolezza di esserci imposti a livello internazionale, grazie alle nostre forze armate, come un Paese serio e affidabile".
"Ci sono palle alzate dai militari che la politica dovrebbe essere pronta a schiacciare: in un Paese che di fatto è in guerra dal ’79, dai tempi dell’invasione russa, probabilmente avremmo potuto sfruttare meglio dal punto di vista imprenditoriale ed economico la nostra presenza nell’area più progredita e pacifica del Paese. Ma cosa fatta capo ha. Quello che è certo è che le nostre forze armate hanno fatto una esperienza straordinaria, se non avessimo partecipato saremmo rimasti indietro agli altri”.
Difficoltà e rischi legati al nostro ritiro? “Non tanti per il personale, alla fine si tratta di 800 persone, e anche il grosso dei mezzi - carri, materiali pesanti, aerei – è stato portato via negli anni: si tratta pero' sempre di uscire da un Paese che non ha ferrovie e non ha accesso al mare, quindi ci si dovrà affidare solo al trasporto aereo e trovare voli con determinate capacità sul mercato o chiedendo il supporto della Nato. Ricordiamoci che non ce ne andremo solo noi, se ne andranno tutti”.
“Dal punto di vista personale – conclude il generale Bertolini – è stata una esperienza indimenticabile. Ci sono stato in due occasioni diverse, ho vissuto fasi differenti. Quello che spero è che le varie componenti in campo trovino un equilibrio, che la pace tra Talebani e governo sia effettiva e che non si trasformi in un pretesto di vendetta. La popolazione afgana è forte, coraggiosa, ha sofferto tanto: merita di trovare una sua via alla pace. Noi abbiamo spesso la pretesa di imporre i nostri modelli agli altri. E questo è sempre sbagliato”.