AGI - Per otto secoli esatti ha resistito alle pressioni dei musulmani, ai difficili equilibrismi con le autorità turche, ai roghi dei suoi frati proprio di fronte all’ingresso della basilica del Santo Sepolcro, alle ingerenze delle stesse nazioni cristiane dalla carità molto pelosa. Oggi la Custodia di Terra Santa rischia il default: a piegarla è il coronavirus.
“Stiamo tenendo duro, ma se dovessero subentrare eventi inattesi e costosi, non avremo modo di affrontarli”, dice con consapevolezza mista a preoccupazione Fra’ Ramzi Sidawi, l’economo della Custodia, il frate che tiene i conti e l’erede di una scuola di economia, detta appunto dell’economia francescana, cui molti in Europa e non solo guardano di questi tempi con interesse, visto che l’iperliberismo sta mostrando tutte le due pecche. Lui stesso, del resto, è dottore in teologia dogmatica: a Cesare e a Dio.
Non è l’economia francescana, quella che a novembre ha ispirato ad Assisi il megaconvegno voluto da Papa Bergoglio intitolato per l’appunto “The Economy of Francesco”, a non funzionare. Va semmai ancora sperimentata. È, più semplicemente, questione dell’oggi: con le condizioni attuali dell’economia internazionale, e con la mazzata del covid, ecco che nemmeno qui, dove notoriamente ci si accontenta di poco, i conti non tornano. I bilanci sono asfittici, le casse vuote come le strade di una Gerusalemme che di questa stagione, solitamente, è più affollata di Rimini il 15 agosto.
Lo si legge su “Terrasanta”, la rivista dei francescani d’Outremer, cui Fra’ Ranzi si è confidato nel pieno di una Settimana Santa che è stata di sette Venerdì. Ha ben 46 santuari, la Custodia, sparsi nei luoghi cari al cristianesimo e non solo. Pertanto subito ha sentito – fin dallo scorso anno – il vento del deserto. Poi, a ricasco, la scarsità d’acqua ha seccato la linfa di un sistema che non è solo di chiese e pellegrini, ma dietro ha tutto un universo di iniziative a carattere economico e sociale. La Chiesa, ne Territori palestinesi, è il terzo datore di lavoro. E nella Chiesa i francescani, da queste parti, sono molto del totale.
“Nel bilancio della Custodia, la manutenzione ordinaria dei santuari è normalmente assicurata dalla generosità dei pellegrini», spiega fra Ramzi, “Prendiamo l’esempio della fraternità di Betlemme. Le sue esigenze sono soddisfatte dal denaro depositato nelle cassette delle offerte, o dalle somme che i fedeli lasciano per la celebrazione delle messe. In un santuario molto frequentato come quello attiguo alla basilica della Natività, le somme raccolte ci permettono di provvedere ai bisogni di quindici frati, quattro suore al servizio della comunità e di pagare il salario di dieci dipendenti, oltre che provvedere alla manutenzione quotidiana degli edifici”.
E non si tratta di edifici anonimi, ristrutturabili alla buona con un colpo di cazzuola ed una manata di cemento.
Da mesi, poi, è stato assicurato un sostegno alle chiese francescane di Beirut rimaste coinvolte nella tremenda esplosione del porto, la scorsa estate.
Inoltre “non bisogna dimenticare che alcuni – come Naim, Sephoris, Magdala in Galilea o Emmaus e Gerico in Cisgiordania – sono quasi privi di entrate, anche in tempi normali. Detto questo, salvo i casi in cui è necessario sostenere spese particolarmente ingenti, l’economato di solito guarda con fiducia a questa parte del suo bilancio, che va in pareggio. Da un anno a questa parte, in assenza di pellegrini, l’economato deve farsi carico ogni mese della vita di 57 fraternità, inclusi i 46 santuari”
Un piccolo mondo che deve sopravvivere.
La Custodia è composta da 300 frati, ma dà lavoro a 1.200 persone. «La voce di bilancio più consistente per noi sono le scuole». La Custodia ne conta dieci, che danno lavoro alla maggioranza dei suoi dipendenti. In Israele, come in Palestina, le Terra Sancta Schools, come vengono chiamate, hanno dovuto gestire un alternarsi di aperture e chiusure. Dall’inizio della crisi, un anno fa, sono stati di più i giorni di chiusura che quelli di regolare svolgimento delle lezioni in aula. Ogni responsabile scolastico ha dovuto misurarsi con questa situazione.
Gli insegnanti, riferisce “Terrasanta” hanno continuato a fornire lezioni tramite la didattica a distanza e le piattaforme di videoconferenza. Hanno quindi continuato a ricevere regolarmente lo stipendio. Per le altre figure professionali, si è proceduto nel ridimensionamento caso per caso. Ora un nuovo passo: decidere se mettere i dipendenti in cassa integrazione o in congedo non retribuito.
E se in Israele “queste misure sono state accompagnate dal governo, che ha istituito un sistema di indennità compensative. In Palestina, il governo ha chiesto ai datori di lavoro di garantire il più possibile il 50 per cento dei salari senza scendere sotto i 1.000 shekel (250 euro) al mese, poiché il governo non è in grado di stanziare sussidi di disoccupazione o altre forme d’aiuto economico in tempi di pandemia”. Insomma, difficoltà si aggiungono a difficoltà per chi ha un problema, già in tempi normali, ad avere un avvenire assicurato.
Non c’è da stupirsi che anche qui, come in Italia, si assista al fenomeno delle famiglie del ceto medio impoverito che ha smesso di pagare le rette delle scuole cattoliche, la cui importanza è, da queste parti, ancor maggiore, se possibile: garantiscono non solo la diffusione della cultura cattolica, ma anche dell’identità di una minoranza come quella dei cattolici palestinesi che si è andata riducendo negli ultimi decenni. La crisi ha anche creato molti disoccupati tra i liberi professionisti, inoltre, andati a gonfiare gli utenti delle opere di carità. Che costano, costano, costano.
“Per far fronte alla crisi abbiamo agito su più piani”, spiega il religioso, “Anzitutto cerchiamo di risparmiare sospendendo una serie di progetti ritenuti non prioritari. In secondo luogo facciamo economia sulle spese necessarie. Infine cerchiamo di rispondere alle richieste di assistenza. Per farlo, ci appoggiamo alle organizzazioni che ci consentono, in Israele come in Palestina, di aiutare le famiglie a pagare l’affitto o a ricevere buoni per la spesa».
La Colletta di Terra Santa è solo una boccata d’ossigeno, che non arriva quasi più.
Fra’ Ramzi non nasconde la sua profonda ansia. “Quest’anno siamo andati avanti con i fondi della Colletta del Venerdì Santo 2019. Nel 2020 la Colletta non è stata indetta in vari Paesi del mondo; in altri ha prodotto solo dal 20 al 30 per cento dei suoi risultati abituali. Fortunatamente negli Stati Uniti è andata quasi normalmente, perché non vigevano misure particolari di confinamento per arginare il contagio. Anche in Canada è andata bene perché le misure di confinamento sono state introdotte più avanti nel tempo. Nel suo complesso la raccolta è comunque in netto calo. Stiamo ancora tirando le somme. Penso che le conseguenze si faranno sentire per diversi anni. Ciò potrebbe benissimo contribuire a rimotivarci nel nostro voto di povertà e nella nostra vocazione di Ordine mendicante”.
L’economica francescana è qualcosa da ricreare molto presto. Anzi, subito.