AGI - Oltre il 60% degli italiani considera abbastanza o molto pericolose le radiazioni ionizzanti (raggi X) della diagnostica medica, anche se il 44% dichiara di non aver conoscenze sufficienti sui rischi. In media ognuno ha effettuato 4 esami di questo genere nella vita. Eppure è diffuso quello che i ricercatori chiamano 'daltonismo radiologico', cioè l'incapacità di distinguere le procedure in cui si usano radiazioni ionizzanti da quelle che ne fanno a meno, fenomeno che riflette una scarsa informazione e una carenza di comunicazioni fra sanitari e pazienti.
Circa il 60% riferisce di non aver ricevuto alcuna informazione prima di sottoporsi a esami radiologici o di imaging diagnostico come la Risonanza magnetica nucleare (RM). Così non stupisce che il 43% non sappia che la RM è priva di radiazioni ionizzanti e che il 15% pensi lo stesso dell'ecografia. Al contrario, rispettivamente il 30% e il 46% e' convinto che la tomografia computerizzata e la mammografia non espongano a radiazioni.
A queste lacune si aggiunte l'incapacità di una gran parte dei pazienti di associare la corretta quantità di radiazioni alle diverse procedure: per esempio, solo il 45% degli interpellati è stata in grado di indicare la TC (tomografia computerizzata) come quella a più alto dosaggio, mentre dell'altra metà il 27,5% pensa che la quantità di radiazioni sia maggiore nella radiografia.
Il rapporto fra i più comuni esami medici per immagini e gli italiani è svelato dallo studio 'RadIoPoGe-Radiazioni ionizzanti', popolazione generale', promosso dall'Istituto di fisiologica clinica del Cnr di Pisa e coordinato dall'Azienda ospedaliero universitaria Pisana, cui hanno partecipato presidi presidi sanitari di nove regioni: Toscana, Sardegna, Emilia Romagna, Lazio, Veneto, Puglia, Campania, Marche e Sicilia.
Solo 1,5% degli intervistati non si è mai sottoposto a esami di imaging diagnostico. Negli altri casi è la radiografia (90,8%) l'esame effettuato con più frequenza, seguita dall'ecografia (81,9%), mentre oltre il 50% si è sottoposto almeno una volta nella vita alla cosiddetta 'panoramica', la radiografia dentale (74%) o alla risonanza magnetica (53,4%). Meno diffusi sono, invece, la TC (39%) e la medicina nucleare (Pet, 14%). Alla mammografia risulta essersi sottoposto il 52% delle donne.
Gli obiettivi dello studio
La ricerca 'RadIoPoGe', durata alcuni anni, si proponeva, innanzi tutto, di stabilire il grado di conoscenza della popolazione italiana sulle radiazioni ionizzanti impiegate nella diagnostica medica. Il secondo obiettivo era fornire agli operatori sanitari gli strumenti - spiega Davide Caramella, ordinario di Radiologia all'università di Pisa - "per demistificare idee preconcette e informare in modo mirato i pazienti" ed evitare che le persone, se senza una comunicazione adeguata su rischi e benefici, abbandonino percorsi terapeutici corretti.
In particolare, in Sardegna hanno collaborato gli studenti del terzo anno del corso di laurea di Tecniche di radiologia medica per immagini e radioterapia dell'università di Cagliari, coordinati dai docenti Matteo Ceccarelli e Luca Saba, che hanno intervistato nell'Aou-Azienda ospedaliero universitaria di Cagliari circa 400 dei 2.886 pazienti fra i 18 e gli 84 anni interpellati da meta' 2019 per un anno nei centri radioterapici coinvolti nello studio.
Con un questionario di 24 domande, somministrato con un'intervista guidata e da cui sono stati esclusi gli operatori sanitari, sono state raccolte le risposte di un campione di 1.531 donne (pari al 53,4%) del totale e 1.335 maschi (46,65), con un'età media di 45 anni.
Come s'informano i pazienti
La gran parte ha dichiarato di aver avuto informazioni sui rischi delle radiazioni ionizzanti in campo medico su tv e radio (oltre il 27%), riviste e quotidiani (15,6%) e soprattutto attraverso internet, Facebook e altri social (25,3%). Ma quando è stato chiesto agli intervistati da quali fonti vorrebbero essere informati, l'80% ha indicato il personale sanitario: nel dettaglio, il 68% il medico radiologo e oltre il 53% il medico di medicina generale, seguiti dal tecnico di radiologia (preferito dal 52%) e dal fisico sanitario (circa il 13%). Solo il 41% ha citato tv o radio e il 32% le pubblicità ministeriali, università o scuola.
Il 90%, inoltre, vorrebbe ricevere informazioni chiare sulla dose di radiazioni ricevuta e il 40% chiede che gli venga comunicata con un'unità di misura specifica. Ma il resto degli intervistati vorrebbe un'indicazione del rischio 'equivalente', cioè associato, per esempio, al numero di giorni corrispondente all'esposizione a radiazioni naturali (lo chiede il 34%) o al numero di sigarette fumate (oltre il 33%). Solo meno del 12% ha dichiarato di non essere interessato a conoscere la quantità di radiazioni ricevute, anche se ne ha il diritto per legge.
"È importante che lo staff radiologico trovi il tempo per spiegare l'utilità dell'impiego delle radiazioni ionizzanti utilizzate negli esami diagnostici effettuati", conclude lo studio italiano, che si sofferma anche sul ruolo del medico di famiglia: "Dovrebbe assumere maggiore rilevanza, configurandosi con il primo canale informativo. Il paziente può avere così tutto il tempo per riflettere sulle informazioni che gli vengono fornite e chiedere successivi e più approfonditi chiarimenti sia al proprio medico sia al personale di radiologia quando si presenta per eseguire un esame".