AGI L'Italia ha ratificato in una legge il Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) del 1981 ma non quello successivo del 2005, sottoscritto a Ginevra con altri 194 Paesi sotto l’egida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Questo nonostante il nostro Paese abbia dichiarato all’Oms nel 2019 di avere approntato un sistema legislativo “per sostenere e sviluppare” gli strumenti indicati dal Regolamento come utili a prevenire e affrontare le pandemie.
Il tema è allo studio dei magistrati di Bergamo impegnati nell’inchiesta sulle conseguenze della pandemia nella provincia più colpita dal Covid ed emerge anche da un’analisi affidata all’AGI di Pier Paolo Lunelli, direttore di Anagenesis, il Centro di Ricerca e Monitoraggio di Pianificazione Pandemica a cui fanno riferimento anche i legali che stanno portando avanti la causa civile contro il Governo per conto di 500 familiari di vittime del virus.
Nel questionario dell'Oms l'Italia si autovalutò col massimo dei voti
“Il Regolamento Sanitario in vigore in Italia è quello del 1981 pubblicato nella Gazzetta ufficiale con la legge del 6 febbraio 1982 - spiega Lunelli - mentre di quello del 2005 c’è una traduzione sul sito del Ministero mentre non vi è traccia di una legge nella Gazzetta Ufficiale. Come sottolineato anche dall’Oms che,negli anni scorsi, aveva pubblicato un elenco di Paesi che avevano ratificato il Regolamento in cui l’Italia non compariva”.
Tra le ‘capacità’, così vengono definite, richieste dal Regolamento agli Stati c’era l’aggiornamento di un Piano pandemico che in Italia è rimasto fermo al 2006, fino a quando è stato redatto quello datato 2020. Il suo mancato aggiornamento è uno degli argomenti su cui indaga la magistratura per individuare eventuali responsabilità sulla base della denuncia del funzionario dimissionario dell’Oms Francesco Zambon. Nel Piano del 2006, non si fa cenno al Regolamento Sanitario, mentre nel secondo viene citato nell’incipit.
“Nel questionario del 2016 inviato dall’Oms - prosegue Lunelli, ex generale dell’Esercito e autore di piani pandemici in diversi Paesi europei - l’Italia si è attribuita il punteggio di 100 su 100, cioé il massimo, sulla capacità di recepire i contenuto dell’RSI nella legislazione nazionale, un’affermazione non veritiera così come non lo è quella di avere predisposto finanziamenti supplementari per rispondere a eventuali emergenze per la sanità pubblica”.
"La mancata ratifica ha avuto conseguenze sugli effetti della pandemia"
In sostanza, la tesi di Lunelli è che se l’Italia si è trovata senza posti in Terapia Intensiva, senza dispositivi di protezione e anche senza poi capacità di organizzare un piano vaccinale adeguato è perché non avrebbe recepito i contenuti del Regolamento Internazionale “finito in un cassetto dopo che l’allora Ministro della Salute, Francesco Storace, lo sottoscrisse”.
Un’ipotesi che sembra essere confermata dal Global Health Security Index (Ghs), l’organizzazione indipendente di esperti di vari Paesi che analizza ogni anno le ‘capacità’ dei 195 Paesi che aderiscono all’RSI.
Nel 2018, a fronte della ‘autovalutazioni’ positive provenienti dal Ministero della Salute, nel dossier del Ghs si leggeva che “in Italia non esiste alcuna evidenza di un piano di riduzione del rischio che comprenda le pandemie”.
“Il fatto che non sia stato recepito il Regolamento Sanitario del 2005 - commenta l’avvocato Consuelo Locati, a capo del gruppo di legali che porta avanti la causa civile dei parenti che inizierà a essere discussa ad aprile davanti al Tribunale di Roma - può avere avuto delle conseguenze sulla gestione della pandemia e su quello che è successo”.