AGI - Ancora Etna. Quello di oggi è il quattordicesimo episodio eruttivo - che ormai anche i non addetti ai lavori hanno imparato a chiamare parossismo - della sequenza iniziata il 16 febbraio. "Ogni volta un elemento nuovo - commenta il ricercatore dell'Ingv, Alessandro Bonforte - stavolta è il turno dei boati, che hanno generato tanta paura".
Una serie fitta e ravvicinata che ha svegliato e allarmato tanti, quando nella notte il vulcano è tornato a farsi sentire e vedere, con il suo tremore, la fontana di lava, il trabocco lavico dal cratere di sud-est in direzione della 'desertica' - ormai pure questo un abituale luogo comune per tutti - Valle del bove.
I boati altro non sono, spiega il vulcanologo, che "il suono delle bolle di gas che scoppiano, come palloncini o come nella pentola quando bolle l'acqua". Ma perché a volte si sentono e a volte no? "I motivi possono essere tanti; se le bolle sono sempre, più o meno, le stesse, la differenza sta nella propagazione delle onde di pressione generate (le onde sonore)".
La differenza dipende dalle condizioni dell'aria, che è il mezzo che trasmette le onde: "Un'aria più densa, per motivi di temperatura o pressione o umidità favorisce la propagazione". Il vento a favore fa altrettanto.
Poi "c'è l'ansia, la paura, generale e diffusa". Immotivata? "Razionalmente sì", prosegue Bonforte: "E' generata dalla frequenza bassissima del suono, una buona componente è addirittura infrasonica, non udibile perché troppo grave (come gli ultrasuoni troppo acuti) ma che fa vibrare 'la pancia', generando questa sensazione. Chiedete a un qualunque regista di film horror... Basta saperlo e non trasformarla in panico".