AGI – Non è un no ai matrimoni omosessuali, che nemmeno sono presi in considerazione. È un no alla pura eventualità che le unioni gay - siano esse de facto o de iure, sancite da un laicissimo documento pubblico come da un patto privato – possano ottenere una qualsiasi forma di benedizione da parte della Chiesa; che regge il suo popolo, ma non a costo di assecondare le tendenze del Secolo. Si ama il peccatore, scrive la Congregazione per la Dottrina della Fede, ma questo mica vuol dire che si giustifichi ciò che resta un peccato.
Due i nomi che risaltano, nell’annuncio (in calce o nella noticina finale, poco importa). Il primo quello del cardinal Luis Ladaria, prefetto dell’ex Sant’Uffizio ed estensore materiale del diniego alle benedizioni come della nota esplicativa; il secondo quello dello stesso Bergoglio che – si scrive come da prassi – “nel corso di un’Udienza concessa al sottoscritto Segretario della Congregazione, è stato informato e ha dato il suo assenso”. Il segretario, per la cronaca, è l’arcivescovo di Cerveteri Giacomo Morandi.
Nella tradizionale forma dell’interrogativo, chiamato il “dubium”, e della risposta, ecco in sintesi la questione. Dubium: “La Chiesa dispone del potere di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso sesso?”. Si risponde: “Negativamente”.
Non si può benedire il peccato
Seguono, naturalmente, le articolate spiegazioni. Riassumibili così: la benedizione, in qualsiasi forma essa sia, non può essere impartita in nessun modo ad una situazione segnata dal peccato, giacché non ci si trova di fronte ad una coppia unita dal vincolo del matrimonio inteso come tra uomo e donna ed aperto alla vita ed alla procreazione. Di queste precondizioni, anzi, non se ne concretizza nemmeno una. Benedire potrebbe essere preso per una forma succedanea di riconoscimento e di parificazione, quindi non si può.
Questo nonostante il fatto che “in alcuni ambiti ecclesiali si stanno diffondendo progetti e proposte di benedizioni per unioni di persone dello stesso sesso”. Certo, “non di rado tali progetti sono motivati da una sincera volontà di accoglienza e di accompagnamento delle persone omosessuali, alle quali si propongono cammini di crescita nella fede, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”. Ma un conto è accompagnare, comprendere, interagire. Un altro dare anche solo l’impressione di equiparare, giustificare, riconoscere ed ammettere.
“Quando si invoca una benedizione su alcune relazioni umane occorre che ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere e ad esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore”, spiega in modo molto attento il documento firmato da Ladaria, “Sono compatibili con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa solo quelle realtà che sono di per sé ordinate a servire quei disegni”.
Quindi “non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell’unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso”.
Certo, in qualche caso in queste unioni si possono anche riconoscere veri e propri “elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare”, ma no, la benedizione ecclesiale no: “tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore”.
Un riconoscimento succedaneo
Segue un altro punto, particolarmente delicato per la Chiesa: “la benedizione delle unioni omosessuali in certo qual modo costituirebbe una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale”. Cioè: attenzione a non fare della benedizione, data in buona fede, l’anticamera del riconoscimento di una unione matrimoniale. È per questo che non si può parlare, di “un’ingiusta discriminazione” nei confronti degli omosessuali. La Chiesa non li discrimina in quanto tali, ma si limita a “richiamare la verità del rito liturgico e di quanto corrisponde profondamente all’essenza” dei sacramenti.
Tutti, nella Chiesa, “sono chiamati ad accogliere con rispetto e delicatezza le persone con inclinazione omosessuale, e sapranno trovare le modalità più adeguate, coerenti con l’insegnamento ecclesiale, per annunciare il Vangelo nella sua pienezza”. Gli omosessuali “riconoscano la sincera vicinanza della Chiesa e ne accolgano con sincera disponibilità gli insegnamenti”. Inoltre non si “esclude che vengano impartite benedizioni a singole persone con inclinazione omosessuale”, ma a condizione che “manifestino la volontà di vivere in fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento ecclesiale”.
Perché il nocciolo della questione è sempre quello: si “dichiara illecita ogni forma di benedizione che tenda a riconoscere le loro unioni”. Perché la Chiesa “non benedice né può benedire il peccato: benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui”.(