AGI - A vederli l’uno di fronte all’altro quasi non ci si crede: Bergoglio vestito di bianco, Ali al-Husayni al-Sistani vestito di nero. Inutile girarci intorno, l’ayatollah richiama nell’espressione e nella postura Ruollah Khomeini, esule a Najaf negli anni ’60 prima di sbarcare a Parigi e rientrare, alla fine, trionfante a Teheran.
Era il 1979: da allora il mondo sciita è divenuto, per gli occidentali, sinonimo di intolleranza, e pazienza se nel bazar della capitale iraniana le immagini di Cristo spuntavano dalle botteghe e dagli altarini; mentre dove comandano altre sette, magari sunnite, tanta sopportazione non c’è mai stata.
Quarant'anni dopo al-Sistani attende l’ospite, pare, stando in piedi, e non si tratta di un gesto casuale. Non lo fa mai. Il riguardo attribuito al visitatore, nel cerimoniale personale di questo leader che ha saputo parlare al cuore delle masse ed alla mente dei potenti iracheni, è molto alto.
Si inizia così una ulteriore fase del cammino di Papa Francesco verso un’intesa con l’Islam, la religione che tra qualche decennio – così calcolano gli statistici, ma gli statistici non sempre ci prendono – potrebbe avere più fedeli del cristianesimo stesso.
Due anni fa la Dichiarazione sulla Fratellanza, proclamata ad Abu Dhabi con l’imam al-Tayyib della università cairota di al-Zahar. Il mondo sunnita che sostiene una serie di valori umani e antropologici in comune con i cattolici. Questa volta una dichiarazione non c’è, e forse sarebbe stato troppo attendersela perché i tempi sono ancora molto acerbi.
C’è però qualcosa di diverso e, a voler essere ottimisti, addirittura qualcosa di più.
L'Ayatollah pluralista
Al-Tayyib è un imam, ha una grande autorevolezza morale e culturale: il suo detto conta moltissimo. Al-Sistani è un ayatollah, quindi anche lui ha una grande autorevolezza morale e culturale. Però è anche un leader religioso che ha riempito a suo modo un vuoto politico. Lo dice la storia recente: è stato coscienza critica durante l’occupazione del 2003, ha rilanciato il processo di rinnovamento democratico nel 2014, ha alzato la sua voce contro le persecuzioni operate contro i cristiani e gli altri non musulmani dai terroristi (sunniti, si noti) dell’Isis.
È stato, nel metodo, quello che fu Khomeini per la Rivoluzione Iraniana, ma con risultati e finalità molto diverse. Di fatto è un campione di quel pluralismo religioso e non che vede in Papa Francesco un sostenitore.
Inutile dire, a questo punto, che il poco filtrato dal faccia a faccia tra i due lasci intravedere, più che un successo, un’intesa sul metodo. Il che poi è premessa, molto spesso, di successi maggiori anche se meno immediati. Al-Sistani fa sapere di aver “affermato che è sua convinzione che i cittadini di fede cristiana debbano vivere come tutto il resto degli iracheni in pace e sicurezza, con tutti i loro diritti costituzionali" garantiti.
Il Papa risponde ringraziando “il Grande Ayatollah Al-Sistani perché, assieme alla comunità sciita, di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno”.
Non si tratta di cortesie diplomatiche. L’ayatollah cita i diritti costituzionali dei cristiani come se fosse un leader laico; il papa replica mettendo in evidenza i diritti di tutti. Particolare che va d’accordo con il suo insistere nella difesa, da quando è in Iraq, degli yazidi come dei sabei. Come dire: tutti fratelli, sorreggiamoci gli uni gli altri.
Torna su questo concetto anche più tardi, il Pontefice, nell’incontro interreligioso che si svolge ad Ur dei Caldei, quando spiega che sotto il cielo stellato di Abramo tutti fanno parte della sua discendenza. Usa quasi toni ultimativi, Bergoglio: “Ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato".
Contro l'indegna cultura dello scarto
Le grandi religioni che si uniscono per difendere se stesse e le piccole contro gli attacchi dell’intolleranza. Il pericolo, infatti, nasce ovunque. Può nascere dalle religioni stesse (l’Isis ne è un esempio, ma non certo l’unico).
Può nascere anche dalla civiltà dello scarto, quella di chi – Bergoglio lo ripete ad ogni passo di questo viaggio in Medioriente – di fronte alla pandemia pensa al vaccino solo come ad uno strumento di arricchimento personale. Oppure fa affari in un mondo che invece di trasformare le lance in aratri ne ha fatto dei missili e delle bombe. Nella vicina Siria qualche potenza ha sperimentato, per sue stessa esplicita ammissione, decine e decine di nuovi tipi di armamento. Una cosa “indegna”.
Non c’è solo la bestemmia di chi usa il Nome di Dio per uccidere, a mettere a repentaglio le libertà religiose che non a caso ora si declinano laicamente, nelle moschee e nelle chiese, come costituzionali. C’è il gretto egoismo di chi rischia di uscire dalla pandemia ancora peggiore di quanto non vi sia entrato.
Contro questi interessi, estesi e radicati, come contro la violenza persecutoria da oggi le grandi religioni si tengono la mano, pronte a difendere le minori nel nome del cielo di Abramo. È il metodo Bergoglio.