AGI - Non è certo la parlata di Suarez: Bergoglio non ha mai fatto inorridire le orecchie delicate dei puristi con trash linguistici del tipo “bambino porta cucummela”. E poi, chi non si ricorda del “Se sbaglio, mi corigerete” con cui esordì dalla Loggia di San Pietro Karol Wojtyla? È un segno dei tempi.
La Chiesa è universale e la sua lingua ufficiosa risente della parlata di chi viene dagli angoli più lontani della Terra per guidarla. Accadde già una volta con il latino e ne nacque proprio l’italiano: ‘sao ko kelle terre’ si disse di fronte a un chierico. Non ci si lamenti, dunque, non si arricci il naso. Si accetti, piuttosto, il nuovo che avanza.
Papa Francesco, argentino ma notoriamente di origini italiane, è di lingua madre spagnola e parla assai bene l’italiano, come pochi. Il fatto è che ci mette del suo, e se Giovanni Paolo II mutuava inevitabilmente dal latino, essendo egli proveniente da idioma di radice indoeuropea ma di ceppo slavo, Bergoglio allo spagnolismo inevitabile affianca rare capacità di elaborazione originale. Non lo diciamo noi: lo dice la Treccani. E se lo dice la Treccani è come se lo dicesse la Cassazione.
Errore grave, quindi, liquidare il lessico bergogliano come l’ennesimo caso di itagnolo. Quella lingua, vale a dire, sviluppatasi nella diaspora migratoria verso il Cono Sud le cui tracce si trovano, effettivamente, nei documenti di molte amministrazioni locali argentine. Non c’è cittadina, tra Rosario e Buenos Aires, che non abbia nei suoi archivi risalenti a un secolo fa il rapporto di un pompiere, come anche un resoconto sulla gazzetta locale, che non sia in spagnolo infarcito di italianismi.
O, piuttosto, all’incontrario: italiano infarcito di spagnolismi. Difficile dire.
Tra i neologismi del Pontefice personalmente ne indichiamo uno, assai ricorrente. Il Papa ama dire “scientisti” per “scienziati”: “Pochi giorni fa incontravo degli scientisti”, ha raccontato ancora di recente, aggiungendo che secondo i suoi interlocutori i robot non avranno mai la tenerezza di un essere umano.
La Treccani articola il suo ragionamento, nel promuovere l’italiano parlato dal Pontefice, in modo complesso e tecnico. Lo definisce per quello che è, cioè “neologista” (si vada su treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/papa eccetera eccetera). Poi lo spiega, e in fin dei conti si direbbe lo giustifichi. Anzi: lo approva pienamente.
“Non c'è dubbio che il linguaggio di Papa Francesco si caratterizzi per la sua profonda ‘dialogicità’ nei rapporti con gli altri”, premette, “interpellati con forme allocutive della lingua comune, pur essendo il suo parlato tecnicamente uno scambio unidirezionale, ovvero parlato con interlocutori presenti ma lontani ("bidirezionale a distanza"), rispetto a uno scambio bidirezionale, faccia a faccia, con turno di parola”.
Pertanto “la lingua di cui Papa Francesco si serve per realizzare tale finalità 'langagière' o locutoria non è peraltro, com'è noto, il suo nativo spagnolo sudamericano, ma la lingua italiana, nel solco della tradizione della Chiesa, lontana da ogni tentazione dell'uso dell'anglo-americano come lingua internazionale o veicolare”.
Insomma, scevra da anglismi come notebook, social, donor, link, template e altro, una lingua che risorge in purezza come se fosse barricata nel contatto con lo spagnolo. Lingua toscana in bocca bairense. E lo spagnolo, si sa, somiglia al padre latino ancor più dell’italiano stesso. E il latino, a sua volta, è la lingua ufficiale della Chiesa. Il cerchio si chiude.
Quello che segue è un breve glossario a cura della stessa Treccani. Sono tutte espressioni usate da Papa Francesco.
Spuzzare
“Caso di prefissato intensivo s-puzzare 'puzzare': «la società corrotta spuzza» (discorso a Scampia, 21 marzo 2015) risalente al piemontese (dei nonni) spussè 'puzzare', indebitamente ‘normalizzato’ (o banalizzato) e depotenziato nel denominale puzzare in non pochi giornali cartacei e on line, e in telegiornali nazionali”.
Misericordiare
“Caso manifestatosi con il misericordiando quale resa del lat. miserando (intervista nel settembre 2013 di Antonio Spadaro S.I.) nel motto Miserando atque eligendo. Lo stesso Pontefice così commenta il proprio uso: ‘il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando’. In realtà però sia lo spagn. misericordiar che l'it. misericordiare, entrambi strutturalmente denominali, erano stati già formati rispettivamente, stando a Google, nel 1749 e nel 1471. Il recupero di Papa Francesco li rimette quindi in gioco a un tempo nelle due lingue”.
Nostalgiare
“Il denominale nostalgi-are (omelia del 3 dicembre 2014), ‘difenderci dalla nostalgia della schiavitù, difenderci dal 'nostalgiare' la schiavitù’, dallo sp. nostalgiar (1906), assente nella lessicografia spagnola ma non in Google libri vs sp. nostalgizar e it. nostalgizzare (1985), documentati in Google”.
Mafiarsi
“Il pronominale mafiar-si (stessa omelia): ‘quando una società ignora i poveri, li perseguita, li criminalizza, li costringe a 'mafiarsi', quella società si impoverisce fino alla miseria»; in italiano c'è invece l'intransitivo denominale mafiare 'comportarsi da mafioso'”.
Colpisce, trattandosi di materiale della Treccani, il costante rinvio a Google.
Verrebbe da dire: googlismi e non si sbaglierebbe, visto che “googlista” nel senso di chi smanetta sul noto motore di ricerca viene citato come neologismo dalla stessa Treccani sin dal 2012. Ma è un anglismo, con tutto quel che si è detto dianzi.
Comunque, se la Treccani dice “googlare”, non si resti perplessi quando il Papa dice scientisti per scienziati o spuzzare per puzzare. Al contrario: si impari. I nostri nipoti, forse, un giorno parleranno così.
Chissà se tra loro ci saranno anche i nipoti di Suarez.