AGI - “La pandemia sta accelerando la diffusione del telelavoro, oggi basta un computer e una connessione internet per lavorare e vivere in montagna, un’occasione unica per ripopolare i piccoli borghi”. Così all’AGI il climatologo Luca Mercalli, che insieme alla moglie ha scelto di vivere la maggior parte del suo tempo in una baita, che ha ristrutturato vicino a Oulx, in Val di Susa, a pochi chilometri dal confine francese. Una scelta fatta con il cuore ma anche con la testa, che Mercalli ha raccontato nel suo libro “Salire in Montagna” (Einaudi, 2020).
Vivere in montagna può essere un importante adattamento al cambiamento climatico
“Fino a poco tempo fa - spiega Mercalli - i motivi per vivere in montagna erano il silenzio e l’aria buona, oggi aggiungo un importante adattamento al cambiamento climatico, in città avremo estati sempre più calde e meno vivibili”.
Intanto, in poco più di un anno, il virus ha cambiato abitudini che sembravano consolidate.
“Lavorare da casa, ma anche seguire parte delle lezioni scolastiche e universitarie da remoto - afferma ancora - ci consente di vivere dove vogliamo, anche lontani dalle città. Non credo che la conseguenza sia una perdita di socialità, nei piccoli borghi montani la vita sociale non è inesistente, quello è solo un luogo comune che va sfatato".
"Sicuramente, - osserva Luca Mercalli - preferisco non alzarmi alle cinque del mattino per prendere un aereo diretto a Roma e partecipare a una conferenza. Se posso farlo restando a casa è meglio, ho molto più a tempo a disposizione durante la giornata, la qualità della vita migliora notevolmente. Senza dimenticare che con affitti più bassi trasferirsi in montagna e lavorare da remoto può anche rappresentare una scelta economicamente sostenibile”.
Non può che essere un bene scoprire che la montagna non è solo sci
Nel frattempo, però, il turismo ad alta quota, e in particolare il mondo dello sci, vive una crisi senza precedenti. “Penso sia una difficoltà temporanea - osserva Mercalli - e quando la pandemia sarà passata tutto tornerà come prima. È anche vero - continua - che i cambiamenti climatici renderanno l’innevamento precario e intermittente. La stagione dello sci sarà sempre più marginale e le zone oggi prospere non è detto che lo siano anche in futuro. Di certo - conclude - le persone che vengono in montagna e non hanno più lo sci, cominciano a cercare altre cose e questo non può che essere un bene”.