AGI - Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di ArcelorMittal per la sospensiva immediata della sentenza con cui il Tar di Lecce dello scorso 13 febbraio ha disposto lo spegnimento, entro 60 giorni, degli impianti dell’area a caldo dell’acciaieria di Taranto.
"Non risultano e non sono stati comprovati elementi tali da far ritenere che l’eventuale accoglimento della domanda cautelare in sede collegiale non sarebbe idonea a soddisfare gli interessi dell’appellante”, ha scritto in un provvedimento di cinque pagine, il presidente della quarta sezione del Consiglio di Stato, Luigi Maruotti. Il Consiglio di Stato ha rinviato la pronuncia sulla richiesta di sospensiva all’udienza collegiale dell’11 marzo, non più decreto monocratico immediato come richiesto da ArcelorMittal. È stata inoltre fissata al 13 maggio prossimo l’udienza di merito “per la definizione del secondo grado di giudizio”.
“Non sussistono i presupposti per incidere in questa sede sugli effetti degli impugnato provvedimenti sindacali dovendo la sezione - nella ordinaria sede collegiale - pronunciarsi sulle delicate questioni controverse tra le parti”, scrive ancora il presidente Maruotti. E aggiunge: “Già nel giudizio di primo grado l’appellante”, ossia ArcelorMittal, “ha già formulato un’analoga istanza volta alla emanazione di un favorevole decreto monocratico e che il presidente del Tar - con decreto n. 210 del 3 aprile 2020 - ha respinto tale istanza, similmente rilevando che la domanda cautelare poteva essere esaminata nella ordinaria sede collegiale, in una data anteriore alla scadenza del “secondo” termine di trenta giorni, fissato per l’avvio delle operazioni di fermata dell’area a caldo e degli impianti connessi”.
“Non risulta e non è stata comprovata la circostanza - sostiene infine il presidente della quarta sezione del Consiglio di Stato - che, in assenza di immediate misure cautelari, per l’appellante si produrrebbe uno specifico danno irreperibile, prima della data dell’11 marzo 2021,anche perché prima di questa data non sarà decorso il 'primo termine' di trenta giorni, con la conseguente insussistenza, prima di essa, dell’obbbligo di avviare le “operazioni di fermata dell’area a caldo e degli impianti connessi”