AGI - "Forse un episodio piccolo può rischiare di essere dimenticato ma la Shoah è una pietra miliare della storia, ha dimostrato che la civiltà può essere trasformata facilmente in barbarie". Al telefono con Agi Lia Levi, la scrittrice 89enne che dedica gran parte della sua vita letteraria alla memoria ebraica, ricorda la trasformazione diabolica in epoca nazista di una nazione come la Germania regina della cultura europea e di quella "in poche ore" di Vienna , ribadendo quindi la missione delle pagine scritte e il loro impatto sugli studenti, a cui si rivolge anche in questo Giorno della Memoria, seppure, causa emergenza Covid, da remoto.
La memoria ebraica quindi non corre il pericolo dell’oblio?
"Le testimonianze dei sopravvissuti sono insostituibili, è vero, ma la letteratura, così come il cinema e i vari musei della Shoah, ha sempre avuto un ruolo prezioso".
Il Giorno della Memoria nell’anno della pandemia ha uno scenario ovviamente diverso da quello degli anni passati, da remoto rischia di essere meno efficace?
"Un anno fa ero in trasferta in Sardegna davanti a una platea di ottocento ragazzi di varie scuole superiori radunati in un teatro, una scena di grande impatto emotivo. Poi abbiamo dovuto mettere via le valigie, adattandoci ai collegamenti da remoto, non meno riusciti di quelli in presenza. Inizialmente avevo pensato, sbagliando, che i professori alle prese con le complicazioni dell’insegnamento a distanza non avrebbero avuto il tempo per i libri, e invece è successo esattamente il contrario, perché hanno bisogno di motivare in qualche modo i ragazzi. Ed è commovente vederli collegati dalle cucine e dai loro tinelli, qualcuno, tra quelli più piccoli, mi fa vedere i suoi disegni, una classe ha commosso una musica ebraica…".
Lei ha esordito a 63 anni con ‘Una bambina e basta’, sulla sua storia di ragazzina ebrea nascosta in un convento durante la persecuzione nazifascista e ora motiverà gli studenti con le pagine del suo nuovo romanzo, ‘Ognuno accanto alla sua notte’ (E/O), con un titolo che prende in prestito un verso di Paul Celan per unificare tre vicende che raccontate da altrettanti personaggi contemporanei, dalle leggi razziali del ’38 conducono alla tragedia romana del 16 ottobre ’43.
"Sono sempre stata affascinata dalle storie individuali che si innestano sullo sfondo dello stesso fatto storico, a parità di vicende tragiche che travolgono l’umanità ognuno ha un percorso diverso, dovuto a dove si trovava, all’età che aveva, a come ha agito o ancora a chi ha incontrato. Lo stesso Primo Levi aveva chiarito l’impossibilità di evidenziare dei tratti comuni tra quelli che si erano salvati, non è stata solo una questione di chi era più forte o di chi conosceva la lingua tedesca... Il caso ha avuto un forte ruolo e per raccontare come il destino giochi e butti i dadi per conto proprio avevo bisogno di tre storie diverse, che ho intrecciato alla contemporaneità".
Oggi la contemporaneità è minacciata da nuovi rigurgiti di antisemitismo e razzismo, con i social grandi accusati...
"I social sono ricettacoli di odi immotivati che prima si esternavano al massimo al bar e oggi trovano uno spazio per propagarsi. Ma il razzismo e l’odio sono una malattia che non può fermarsi alle responsabilità della scuola, riguardano tutta la società, dalla famiglia, alla politica, alla polizia e alla magistratura."
Il ventenne con il computer pieno di contenuti suprematisti e intenti neonazisti appena arrestato a Savona, solo cinque anni fa aveva partecipato con la sua classe ad un viaggio ad Auschwitz, neanche la visita ai luoghi dell’orrore riesce a redimere?
"L’esistenza del male è un fenomeno della storia. In Israele è successo che per rieducare cinque naziskin li avevano portati al museo della Shoà, mettendoli a confronto con gli orrori hitleriani, e una volta tornati sulla spiaggia di Tel Aviv per tutta risposta quelli si erano esibiti in saluti nazisti".
Che tipo di antisemitismo serpeggia oggi in Italia?
"Quello di matrice neonazista che appartiene a persone che spesso neanche conoscono la storia: si impadroniscono di slogan e di simboli senza neanche sapere magari chi è stata davvero Anna Frank. Ma c’è anche un altro tipo di antisemitismo, quello che prende come spunto e si aggancia a Israele, con una formulazione che sottende non una critica politica ma un vero antisemitismo di fondo. Ne sono stata testimone un paio di volte nei miei incontri nelle scuole: mentre nel Giorno della Memoria stavo parlando di bambini mandati a morire nelle camere a gas mi sono sentita rivolgere qualche frase inascoltabile, come "Israele però fa la stessa cosa con i palestinesi", mentre un docente universitario è arrivato a dirmi che "Israele è lo stato più fascista del mondo".
Cosa pensa delle recenti scuse di Emanuele Filiberto per le leggi razziali firmate da suo nonno Vittorio Emanuele III, esternate durante un’intervista al Tg5?
"Gli chiedo: perché ora? Emanuele Filiberto dovrebbe spiegare meglio cosa lo ha mosso proprio adesso, le sue parole così come sono state rivolte non permettono di trovare una motivazione profonda, hanno un sapore troppo mediatico".
A proposito di operazioni mediatiche, oggi la condizione esistenziale determinata dalla pandemia viene spesso accostata sui giornali a quella della guerra…
"Accostare la condizione esistenziale determinata dal coronavirus a a quella della guerra rischia di dare vita a un’operazione di confusione. Non intendo sottovalutare la situazione dei ragazzi chiusi in casa oggi, non sono insensibile alla loro sofferenza, lo dico anche da nonna, per esperienza diretta. ma accostarli ai bambini vittime della persecuzione nazifascista è un errore, oggi nessuno è costretto a nascondersi. La tristezza per le morti causate dal virus, come dai terremoti è senz’altro simile a quello dei lutti per la guerra, ma la matrice va distinta: il dolore è lo stesso, ma il terremoto non è Marzabotto".
Sul piano personale come sta vivendo questi mesi di pandemia?
"Sono stata appena vaccinata contro il Covid e sono in attesa del richiamo. Per una persona della mia età e con la mia professione, la pandemia non è stata troppo penalizzante, questi mesi li ho passati tra scrittura e conferenze in remoto, affidandomi per la parte tecnologica dei collegamenti al ragazzo che vive e lavora con me: potrei farlo anche da sola e vero ma per le attività che mi comportano fatica e che sottrarrebbero energie alla mia attività intellettuale mi faccio aiutare e non lo trovo disdicevole. Non sono stata sfiorata neanche dal blocco dello scrittore che a inizio lockdown ha colpito parecchi miei colleghi, probabilmente perché ero già a metà del mio romanzo. La lontananza forzata da amici e parenti, soprattutto dai suoi cinque nipoti, invece, mi sta pesando molto soprattutto quella dai due più piccoli di 9 e 5 anni. E’ vero che il ruolo di educatori appartiene ai genitori, ma la funzione dei nonni è vitale".