AGI - “Temo le banalizzazioni della memoria, i tentativi di attualizzare quanto accaduto al popolo ebraico attraverso accostamenti impropri. Mi preoccupa il continuo riaffiorare dei suprematismi. E credo sia giunto il momento di smettere di chiedere il perdono per interposta persona. Questo è un atto che nell’ebraismo non è concepibile”. Lo dice Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica di Roma, in una conversazione con l’AGI, alla vigilia delle celebrazioni per la Giornata della Memoria. Iniziative che quest’anno saranno diverse dal solito, a causa del Covid, ma non per questo meno intense.
“La pandemia non ci ha certo impedito di continuare a lavorare, di produrre cultura, di pregare e quindi di fare memoria e trasmetterla. Tutto quello che si svolgeva in presenza, quest’anno è passato nella forma più tutelante della divulgazione attraverso i canali social o le piattaforme informatiche. Senza però depotenziare o svilire il lavoro che si sta svolgendo e che, anzi, continua alacremente non solo nella Giornata della Memoria ma tutto l’anno. Il calendario delle iniziative è denso - spiega Dureghello - fra quelle con l’Archivio, il Museo, il Centro di Cultura. E poi c’è una mia chiacchierata, bellissima, con l’ultimo sopravvissuto di Roma: Sami Modiano. E’ una ‘passeggiata’ nel suo percorso umano, una delle cose più belle che ho fatto nella mia vita" La conversazione con Sami Modiano, “sarà pubblicata sui social delle comunità e destinata ai ragazzi, perché quest’anno, per motivi contingenti, Sami non poteva certo andare nelle scuole. Abbiamo quindi voluto ‘storicizzare’ un suo dialogo – dice ancora la presidente - e metterlo a disposizione degli studenti che abitualmente, vedevano Sami in aula magna, o seduto fra loro. Ne è nata una chiacchierata delicata, colma di messaggi significativi e di grande speranza”.
Rispetto allo scorso anno anno, è cambiato qualche atteggiamento verso la cultura della memoria?
“Sono cambiate tante cose – spiega la presidente della comunità ebraica romana – è sotto gli occhi di tutti che la nostra società e i suoi valori sono stati completamente stravolti. Di positivo, c'è che ci arrivano, ad esempio, tante sollecitazioni dalla società civile, soprattutto dalle scuole attive per concretizzare una riflessione sulla giornata della memoria. Ma dall’altra parte, c’è in questo ultimo anno un riaffiorare del tema dell’antisemitismo. Con la pandemia sono riemersi pregiudizi, teorie complottiste, stereotipi sul web di natura antisemita. Ha ripreso vigore il tema dell’antisionismo, reso ancora più evidente e conclamato verso lo Stato di Israele e al suo diritto a esistere. E non ultimo, cosa che mi preoccupa moltissimo, c'è la ripresa del suprematismo, come accaduto nella società americana, che credevamo affrontato. Il suprematismo oggi, purtroppo, suscita tanto interesse e ha tanto appeal anche nella società europea, non ultimo in quella italiana. I suprematismi sono un pericolo, inutile negarlo, un pericolo reale. E in una società sofferente che vive un disagio, il modello di idolatria che il suprematismo crea può essere uno strumento per accalappiare le coscienze dei più deboli o di chi soffre e diventa facilmente strumento di diffusione di odio e violenza. Sì – sottolinea Dureghello -, ci sono stati cambiamenti in un senso e nell’altro. L’importante è, però, che non muti lo spirito con cui si affronta la Giornata della Memoria e quello con cui questa è stata istituita dai padri fondatori”.
Secondo Dureghello, “il monito che si deve fissare, è quello di ricordare la unicità, la gravità e la disumanità della Shoah, affinchè questa non si ripeta. Se invece il ricordo deve diventare un pretesto per strumentalizzare, rivedere, analizzare o addirittura fare retorica ad uso della destra, sinistra, della politica in generale, allora sicuramente c’è qualcosa che non va e occorre riportate tutto nella giusta direzione”.
C’è quindi un rischio di banalizzazione della memoria? “Certo. E di questo sono molto preoccupata. Si sta distorcendo il senso originario di fare memoria - afferma - e alle volte si usa la Shoah con i suoi testimoni e modelli per rappresentare concetti politici che non hanno nulla a che vedere con la memoria ma andrebbero affrontati in modo diverso. Il problema è anche culturale, lo sappiamo bene. Dobbiamo infatti insistere sulla cultura europea della consapevolezza, sull’educazione alla memoria. Perché, da qui a dire che abbiamo tutti maturato un processo di responsabilizzazione, introitamento e consapevolezza, ce ne corre. Quella cultura che davamo in qualche modo acquisita avendoci lavorato tanto, non è invece cosi solida, come l’avevamo immaginata. Troppo spesso viene impoverita dall’ignoranza, nel senso del vero della parola”.
E a proposito di scarsa cultura, c’è un tema spesso mal posto ed è quello del perdono. Molte volte ad un sopravvissuto, si chiede se è disposto a perdonare...
“Troppo spesso siamo sollecitati sul tema del perdono perché ai più – spiega Dureghello – risulta difficile comprendere quello che nell’ebraismo è un concetto fondamentale: quando vengono perpetrate delle offese, il perdono non può essere per delega. Io posso, nelle condizioni in cui è possibile, operare un reciproco confronto e cercare di superare la situazione perché, e lo sottolineo, non c’è nessun tipo di delega al perdono. Non può esserci. E anche questo è un pregiudizio, perché pensare o immaginare che il popolo ebraico debba vivere questo modello esattamente come altre culture e altre religioni, significa non riconoscere una connotazione tipica, una peculiarità millenaria che è quello che ci ha consentito di arrivare fino a dove siamo arrivati oggi e dove speriamo, saremo per altri millenni insieme all’umanità intera. Culturalmente, questo concetto del perdono nell’ebraismo non c’è e se esiste, è frutto di un confronto fra due parti contrapposte che cercano di trovare una sintesi fra posizioni diverse. Il rapporto e il dialogo sono diretti, non può essere mai mediato. Noi non abbiamo assolutamente la delega per altri: sarebbe un abominio se io, per esempio, dicessi sì o no al posto di mio nonno. E’ inconcepibile. Quasi fosse una colpa se non perdoniamo... Questa cosa ci mette in difficoltà perchè devo prendermi una responsabilità per un mio parente non sopravvissuto. Non spetta a noi viventi perdonare”.
Tempo fa, la presidente della comunità ebraica di Roma ha indicato Israele come un modello nella gestione della pandemia e delle vaccinazioni: “Ho detto e ripeto che se dobbiamo guardare a modelli positivi, e Israele nel momento della pandemia e vaccinazione ha costituito un modello positivo, non vedo perchè non guardare a questo Stato e comprendere quell'esempio. A volte, anche nelle cose positive c’è presunzione. Anche questo è un pregiudizio. Mentre invece Israele, grazie anche a innovazione e tecnologia, ha affrontato la pandemia e può essere un valido strumento di confronto e miglioramento. Non vorrei ci fossero dietro le solite teorie complottiste e negazioniste che spesso si palesano. Anche questo è uno spunto per riflettere sul tema dell’antisemitismo”.