AGI - Il caso della bimba di Palermo rimasta soffocata durante un ‘challenge game’ “è mostruoso" ma “il digitale è solo uno strumento ed è più evolutivo e utile che patologico". Così all’AGI Federico Tonioni, direttore del Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma.
“Quello che ha sollecitato questa povera bambina è il tipo di gioco in cui si alza sempre di più l’asticella della sfida e si sconfina in gesti perversi di autolesionismo. A 10 anni non si ha il senso del limite, ma chi incappa in questo gioco spesso sente il bisogno di sentirsi più amato”.
Lo psicoterapeuta non esclude che la piccola Antonella possa essere stata attratta da questo gioco "per noia legata alle restrizioni per la pandemia. In generale, si registra un forte aumento di casi di autolesionismo in questa seconda ondata. Lo dimostra anche l’allarme lanciato pochi giorni fa dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù”.
Tonioni assicura che non è aumentata la dipendenza da internet, anzi: “I ragazzi vogliono uscire”. Ciò che emerge sempre di più “è una cappa di depressione e tristezza”.
Lo psicoterapeuta non condanna i social né il web che "soprattutto in questo periodo di lockdown o quasi sono l’unico mezzo con cui noi e i nostri figli possiamo mantenere i contatti e sentirci meno soli. È ovvio che parlarsi dal vivo è diverso, e che questa impossibilità di continuare a strutturare le relazioni in persona è motivo di sofferenza”.
Tonioni mette, dunque, in guardia da due pericoli che i genitori devono assolutamente evitare: "La rabbia e la noia".
"Anche quando diamo regole - continua - non bisogna mai farlo per averla vinta sui figli, ma per avviare una trattativa. Trattativa che finisce nel punto reciproco di massimo sforzo. Finisce in un compromesso che fa crescere anche l'adulto".
Spesso - prosegue - sento diktat assurdi, come "non ti alzi da tavola finché non hai finito". Ma a cosa serve? Perché un bambino quel giorno non può avere meno fame?".
Per Tonioni l'errore più grave è quello di reprimere i figli: "Un bimbo che dice no o che dice una bugia è uno che si fida dell'amore dei genitori e che sa che può trasgredire. I bimbi piccoli sono tiranni, hanno diritto a pretendere che il mondo giri intorno a loro, li fa sentire amati".
Non si tratta di vivere senza regole, precisa lo psicoterapeuta: "Proviamo a dire di no e osserviamo cosa succede dall'altra parte. Se un no scatena una tragedia deve partire la trattativa. L'amore si vede anche nella fatica di dire di sì".
Se non si accettano i figli come sono, se non si impara a conoscere anche la loro personalità, si genera scarsa autostima e frustrazione. "Ho molti ragazzi in cura che si sentono frustrati per aver deluso le aspettative dei genitori e sfogano la rabbia attraverso i giochi sparatutto".
Quanto alla noia, Tonioni avverte: "Un bambino troppo buono, che non fa mai danni, non fa mai preoccupare", non supera mai limiti, non è spontaneo e spesso "si annoia".
Sono problemi che in adolescenza possono sfociare nel ritiro sociale". Il riferimento è a quelli che vengono indicati con il termine giapponese hikikomori. "Questi ragazzi non hanno rapporti sociali, non hanno profili social, si chiudono in camera tutto il giorno e se stanno al pc giocano da soli".