AGI - L'ex presidente dello Ior Angelo Caloia e l'ex avvocato dell'Istituto per le Opere di religione Gabriele Liuzzo sono stati condannati a 8 anni e 11 mesi di reclusione per i reati per i reati di riciclaggio e appropriazione indebita aggravata, e a pagare una multa di 12.500 euro dal Tribunale vaticano in relazione alla vendita di 29 immobili di proprietà dello Ior e di una società controllata, la Sgir srl (Società Gestione Immobili Roma).
Nella sentenza letta dal presidente del tribunale Giuseppe Pignatone, si stabilisce che Lamberto Liuzzo, figlio di Gabriele, è stato condannato a 5 anni e due mesi e al pagamento di una multa di 8 mila euro.
In ragione delle pene loro comminate, i tre imputati sono stati tutti dichiarati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici. Il Tribunale ha disposto anche a loro carico la confisca di somme complessivamente pari a circa 38 milioni di euro.
Infine, gli imputati sono stati condannati al risarcimento dei danni nei confronti dello Ior e della sua controllata Sgir, costituiti parte civile, per una somma di circa 23 milioni di euro. Inoltre il Tribunale ha confermato in sede di appello l'applicazione della misura di prevenzione nei confronti di Gabriele Liuzzo, ordinando la confisca di circa 14 milioni di euro depositati presso lo Ior e già da tempo in sequestro, nonché di altri 11 milioni di euro circa, depositati presso banche svizzere.
Si tratta della prima applicazione della normativa introdotta nel dicembre 2018, nel quadro più generale dell’adeguamento della legislazione vaticana agli standard internazionali per il contrasto al riciclaggio, alla corruzione e ad altri gravi reati.
Le parti civili (ossia gli avvocati di Ior e Sgir) avevano chiesto un risarcimento provvisionale di circa 35 milioni di euro.
Per una parte dei 29 immobili di proprietà dello Ior venduti tra il 2001 e il 2008 il tribunale ha assolto Caloia e Liuzzo dall'accusa di peculato o di appropriazione indebita aggravata per insufficienza di prove o perché il fatto non sussiste e anche Lamberto Liuzzo dall'accusa di autoriciclaggio.
I 29 immobili, elencati durante la sentenza, si trovano principalmente a Roma (via Bruno Buozzi, via Boezio, via Emanuele Filiberto, via Portuense, via della Pineta Sacchetti, viale Regina Margherita, via Aurelia, via Casetta Mattei, via Traspontina, via del Porto fluviale, ecc), nella provincia di Roma (Frascati e Fara Sabina), ma anche a Milano (Porta nuova), Genova (piazza della Vittoria).
La somma di approssimativamente 23 milioni che gli imputati devono restituire a Ior e Sgir, in attesa che il danno reale sia quantificato in sede di distinto processo civile, sono stati calcolati a titolo di danno economico, danno morale e danno reputazionale allo Ior e allo Sgir.
Processo avviato nel 2018 dopo l'esposto dello Ior
E' stata la 23esima e ultima udienza di un processo di primo grado iniziato il 9 maggio 2018. Secondo l'accusa, basata principalmente sulle indagini fatte nel 2014 dal gruppo Promontory, Caloia e Liuzzo, d’intesa con l’allora direttore generale dello Ior Lelio Scaletti, deceduto nell'ottobre 2015, avrebbero venduto - tra il 2002 e il 2007 - gli immobili a un prezzo di gran lunga inferiore al valore di mercato.
Essi si sarebbero poi appropriati della differenza, stimata in circa 59 milioni di euro, che in parte avrebbero riciclato in Svizzera, anche con l'aiuto del figlio Liuzzo, Lamberto.
L'istruttoria dibattimentale, durata circa due anni, "ha consentito di chiarire - si legge in un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede -, grazie al contributo di tutte le parti, nel pieno rispetto del contraddittorio, i principali aspetti della vicenda".
La differenza tra il valore e l'incasso
Tra l’altro, i periti hanno stimato nella misura di circa 34 milioni di euro la differenza tra quanto incassato dallo Ior e dalla Sgir e il valore di mercato degli immobili.
All’esito, il Tribunale "ha ritenuto provato che in alcuni casi gli imputati si sono effettivamente appropriati di parte del denaro pagato dai compratori, o comunque di denaro dello Ior e della Sgir per un importo complessivo di circa 19 milioni di euro".
Gli imputati (tutti assenti) erano: Angelo Caloia, 81 anni, presidente dello Ior dal 1989 al 2009 difeso dagli avvocati Domenico Pulitanò, Rosa Maria Palavera; l'avvocato Gabriele Liuzzo, 97 anni e suo figlio Lamberto, 55, difesi dagli avvocati Fabrizio Lemme, Francesca Guerriero, Anna Palazzi.
Le parti civili erano: Ior, rappresentato dal direttore generale Gianfranco Mammì, difeso dagli avvocati Alessandro Benedetti, Roberto Lipari, Marcello Mustilli; Sgir, rappresentata da Gianfranco Mammì in qualità di consigliere di amministrazione, avvocati Roberto Lipari, Marcello Mustilli, Alessandro Benedetti.
Ha presieduto il processo il presidente del tribunale Vaticano Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo di Roma, affiancato da Venerando Marano, Carlo Bonzano.
A inizio udienza è intervenuto il Promotore di giustizia vaticano, Gian Piero Milano, che, dopo un periodo di assenza ha affermato: "Questa aula mi è mancata".
Un processo destinato a restare nella storia
"La mia assenza può aver determinato qualche rallentamento, spero di no", ha aggiunto esprimendo "vivo apprezzamento perché - ha detto - mi risulta che il giudizio sia stato molto approfondito e sia stato condotto con grande scrupolo da parte di tutti" tanto da essere, pur essendosi svolto nel "microsistema" e nel "minimo Stato" del Vaticano, un "processo destinato a restare nella storia".
E' poi intervenuto il presidente del tribunale Giuseppe Pignatone che oltre a esprimere "grande gioia nel rivedere il professor Milano", ha voluto fare un "ringraziamento non formale a tutte le parti, sia pubbliche sia private, per il contributo dato a questo processo, un contributo sia nella ricostruzione di fatti complicati sia un contributo di diritto per questioni di notevole complessità".
Gli avvocati dell'ex presidente dello Ior Angelo Caloia hanno annunciato di aver presentato la dichiarazione di appello. "La decisione - si legge in una nota dei legali Pulitanò e Palavera -, che pure cade in un clima complessivamente poco favorevole a chi si difende, non accoglie l'ipotesi massimalista dell'accusa e pronuncia assoluzione con riferimento alla maggior parte degli immobili".
"Il dispositivo della sentenza - aggiungono - è molto articolato e resterà poco decifrabile fino al deposito delle motivazioni".