AGI - Rifiuti? “Nel mio cortile, per cortesia!”, è la filosofia, promossa più di venti anni fa, da quello che è diventato oggi il modello Peccioli e che troverà spazio, come esperienza di comunità resiliente, nel Padiglione Italia della Biennale Internazionale di Architettura di Venezia dal 21 maggio. Il piccolo Comune nella provincia di Pisa dal 1997 va, si direbbe, controcorrente avendo ribaltato, nel campo della gestione di discariche e rifiuti, la filosofia del N.I.M.B.Y. (not in my back yard).
“Una scelta sicuramente coraggiosa e, a quei tempi, assolutamente impopolare in termini di consenso politico”, commenta Alessandro Melis, architetto e curatore del Padiglione Italia della Biennale che dedicherà appunto al “Laboratorio Peccioli” una delle sue quattordici sezioni. Perché?
Perché, spiega Melis, “il centro del progetto del Padiglione Italia, il cui tema è ‘Comunità resilienti’ è la crisi climatica. Ci chiediamo come ripensare oggi, con architettura e urbanistica, le nostre comunità per affrontare il problema che, a differenza di quanto si crede, non riguarda solo le megacity, ma investe anche le piccole comunità di cui si compone il tessuto del nostro Paese”.
Nel 1997, per affrontare il potenziale problema ambientale che si sarebbe sviluppato dalla mancanza di gestione del sito di Legoli, dove confluivano i rifiuti di sei Comuni, l'allora amministrazione comunale di Peccioli creò la società Belvedere Spa per affrontare, da una nuova prospettiva e con nuove soluzioni, temi di grande impatto sociale come quelli di discariche, infrastrutture e impianti per la produzione di energia.
“Nel momento in cui tutti volgevano lo sguardo dall'altro lato e la filosofia dominante era quella del ‘not in my back yard’ – racconta Melis – Peccioli non ha nascosto lo sporco sotto il tappeto e la sua comunità ha deciso di affrontare di petto la questione, con la giusta attitudine, insomma, per superare il problema del clima”.
“Quello dei rifiuti, infatti – commenta - è un problema fondamentale per la crisi climatica. Tutti, per ragioni politiche e ambientali, hanno detto ‘non voglio la discarica’. In altri Paesi, invece, come Danimarca o l'Austria, intanto, anche attraverso l’architettura, riuscivano a introdurre i rifiuti in un modello urbano virtuoso e a basso impatto ambientale”.
E Peccioli? “Da un ventennio investe gran parte delle entrate della discarica in tre operazioni: sostenibilità, cultura, arte e architettura, innovazione tecnologica. Tutte azioni resilienti – spiega l’architetto -. Peccioli è diventato un centro espositivo diffuso, dove artisti internazionali mettono in mostra le loro opere. Per esempio, nella discarica, il grande impianto di trattamento e smaltimento dei rifiuti, c'è una creazione di David Tremlett, i Giganti, e opere di Sergio Staino”.
Ma non solo, perché nella discarica c'è anche un teatro all'aperto dove si promuovono iniziative ed eventi culturali di grande richiamo: “Insomma – commenta Melis – non solo la discarica non viene nascosta, ma viene valorizzata e diventa il luogo in cui si sperimentano forme di riciclo e di riutilizzo anche del biogas”. “Grazie a questa filosofia e alla ricerca che qui si sperimenta, Peccioli potrebbe proporre idee che portino addirittura al superamento del sistema della discarica”.
Questa, in pratica, è stata riletta dalla comunità come un valore economico per investire in ricerca, arte e cultura, ma è stata anche usata come “motore sociale”. “La grande intuizione – commenta infine Melis – è stata quella di non essersi adagiati sulla discarica ma di sperimentare e usare l’opportunità che essa dava, investendo in energie da fonti rinnovabili e nel riciclo, che costituiscono una curva della parabola della sostenibilità”.
Per questa sua caratteristica di comunità resiliente e in qualche modo anticipatrice di questioni legate ad ambiente e rifiuti, Peccioli è stata scelta come luogo di incontro tra ricercatori e scienziati che, arrivati qui da tutto il mondo, hanno elaborato la Carta della Resilienza.
“Si tratta di un protocollo che, se adottato dalle amministrazioni italiane come strumento urbanistico, porterà certamente a costruire nelle nostre città in modo sostenibile”, spiega Melis. Ai lavori della Carta di Peccioli hanno collaborato istituzioni internazionali come Un-Habitat, il programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani: “Non si può più costruire in Italia senza investire secondo i principi di circolarità del metabolismo urbano – afferma l'architetto -: ogni cosa che si consuma deve essere compresa all'interno di un processo di rigenerazione. Bisogna insomma essere certi che l’impatto ambientale sia zero o vicino allo zero”.