AGI - "Sarebbe bene" che sia un'Authority "e non lo stesso gestore" a decidere l'oscuramento, temporaneo o definitivo, di un account in presenza di messaggi che potrebbero costituire il rischio di un incitamento alla violenza. Lo afferma Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, commentando con l'AGI la decisione di Twitter di chiudere l'account personale di Donald Trump, oltre che aver proceduto alla cancellazione di messaggi che lo stesso Trump ha quindi scritto subito dopo sull'account ufficiale della Casa Bianca e della presidenza degli Stati Uniti.
A valutare dev'essere "un organismo indipendente, che non sia caratterizzato da controllo governativo o politico, perché in tal caso sarebbe anche peggio in quanto potrebbe dare una connotazione politica al controllo". Una linea, quella di Mirabelli, che si 'lega' in qualche modo a quella rappresentata da Massimo Cacciari, che in un'intervista a Repubblica ha detto che "se non c'è una struttura politica che decide un controllo preciso su questi strumenti di comunicazione e di informazione decisivi ormai per le sorti delle nostre democrazie, è evidente che saranno gli Zuckerberg di questo mondo a decidere delle nostre sorti".
E infatti Mirabelli sottolinea che un altro problema è "la responsabilità che il gestore ha o potrebbe avere per la diffusione di messaggi, se ha un controllo, e quali possano essere le conseguenze del controllo: chiusura o sospensioni. Nel caso specifico la decisione di Twitter ha avuto rilevanza politica, ed è evidente il rischio che poteri privati gestiscano queste situazioni".
Il costituzionalista aggiunge che ormai i social "hanno assunto, per la diffusione e incisività e offerta del servizio, rilievo pubblico. Hanno una posizione dominante anche come tipo di servizi che fanno e affidano la loro produttività economica a questo". Mirabelli sottolinea che "c'è un principio di eguaglianza che riguarda anche i rapporti con i privati".
Secondo Mirabelli, "non si può correre il rischio di emarginare chi è diverso o chi la pensa in maniera differente. Ritengo che una decisione come quella adottata possa essere presa senza esitazioni se l'uso del social significa commissione di reati, ovvero se i messaggi trasmessi costituiscano già reati. Per questo dico che a valutare questo sia un organismo indipendente e non lo stesso gestore. Siamo oggi in grado di affermare che quei messaggi costituissero reato?".
Il presidente emerito della Consulta evidenzia poi un aspetto non meno importante, specie per un gigante del mondo web: "Può nascere un contenzioso, e non solo dal punto di vista risarcitorio, quindi economico, ma anche con caratterizzazione 'punitiva'. E nel sistema statunitense questo esiste, c'è questa possibilità di esercitarlo nei confronti di un'azienda o di una singola persona fisica".
"Una misura simile - sostiene - potrebbe risultare non conveniente. Il nodo è cosa abbia determinato per davvero questo effetto. Quei messaggi sono stati benzina sul fuoco, viene detto. Dalle immagini viene fuori un elemento sconsolante. Cosa penseremmo noi se in Italia i manifestanti entrassero di forza alla Camera o al Senato? Non sarebbe più una dimostrazione, che è anche il sale della democrazia, ma mai contro le istituzioni".