AGI - Il 25 gennaio è il termine ultimo per l'iscrizione a scuola. Fondamentale, soprattutto per quanto riguarda le superiori, è l'open day: un'intera giornata in cui è possibile visitare l'istituto che più interessa e capire come funziona, parlando direttamente con gli 'addetti ai lavori'. Ma quest'anno, il Covid ha trasformato il tour in un viaggio virtuale, con tutti i limiti del caso. Alcune scuole prevedono anche la possibilità di effettuare dei test per capire se si è portati o meno verso un particolare indirizzo di studio. Di sicuro, la scelta della scuola superiore dei propri figli non è una decisione da prendere alla leggera, ma il rischio di un'entrata a gamba tesa da parte dei genitori è dietro l'angolo. Ecco che cosa i genitori dovrebbero fare e cosa no, secondo Maura Manca, psicologa clinica, blogger e presidente dell'Osservatorio nazionale adolescenza Onlus.
Vietato influenzare
"I genitori devono educare ovvero tirar fuori le risorse, ma senza influenzare e plasmare i figli. Nella maggior parte dei casi gli intenti sono nobili. Ma viviamo già in una società altamente competitiva e questo i giovani lo sentono, ne portano il peso. L'ultima cosa di cui hanno bisogno è confrontarsi con l'ideale di figli", spiega Manca. "I giovani non devono rapportarsi a una figura di figlio ideale. Ciò rappresenterebbe un peso enorme e non li farebbe sentire realizzati dal punto di vista personale. Magari dal punto di vista professionale sì". Troppi ragazzi, prosegue Manca, "compiono scelte in funzione del desiderio dei genitori. Ma quanto costerà loro dal punto di vista psicologico?".
Vademecum per i genitori
Cosa deve fare allora un genitore alle prese con il modulo più importante della carriera scolastica del figlio? "Innanzitutto deve capire quali sono le attitudini del ragazzo, ma questo non vuol dire che quella sia la strada giusta. E' solo quella più rappresentativa in quel momento. Cambiare rotta non è un errore", osserva Manca, che continua: "Facciamo innanzitutto esprimere i ragazzi, chiediamo loro cosa sentono più nelle loro corde. Partiamo dal piacere: quali sono le materie preferite?"
In seconda battuta, consiglia Manca, "facciamoli ragionare. Passiamo all'applicazione pratica. Illustriamo quali sbocchi offre quell'indirizzo e quale lavoro si andrà a fare. Molti cambiano idea pensando al mestiere". Per Manca, poi, è arrivato il momento di "sfatare questo mito che se non fai il liceo avrai problemi all'università". Secondo la psicologa, "è importante perché non tutti vogliono caricarsi del peso di un liceo".
Serianni: "Focus sulle materie"
Per Luca Serianni, linguista e filologo, socio dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dei Lincei, "la scelta della scuola superiore è un passaggio importante. E' utile che i genitori orientino i figli, ma ancora più utile è che gli istituti indichino ai ragazzi le materie che si andranno a studiare in quella scuola". "Prima della pandemia - dichiara Serianni all'AGI - molti licei organizzavano lezioni facendo assistere gli studenti delle scuole medie, ora non è più possibile farlo in presenza ma certamente si può fare altrettanto bene in Rete". E' questa la strada maestra per scegliere a quale istituto superiore iscriversi in maniera consapevole e non superficiale.
"In subordine vengono le altre motivazioni - prosegue Serianni - come seguire la scelta dei propri amici, o scegliere l'istituto scolastico più vicino alla propria abitazione, anche se questa è una caratteristica che conta in quanto spostarsi di molti chilometri può risultare gravoso". Secondo Serianni "i genitori possono contribuire a raccogliere informazioni ed essere vicini ai figli ma la scelta la devono fare i ragazzi. E comunque più dell'indirizzo di studio - conclude il professore - conta la qualità dell'insegnamento, cioè la capacità degli insegnanti di far scattare l'interesse dei ragazzi, integrandoli e spingendoli a studiare".
Il racconto di Piero Angela, Izzo e Gamberale
Oggi sono attori, divulgatori scientifici, scrittori. Ma se il talento si è manifestato sin dalla primissima infanzia, quanto hanno influito scuola e famiglia sull'istruzione e sulla carriera di quelli che sono oggi nomi noti? L'AGI lo ha chiesto a Piero Angela, Simona Izzo e Chiara Gamberale.
Piero Angela: "Io destinato all'ingegneria"
Il divulgatore scientifico più famoso d'Italia aveva un destino segnato: i genitori avevano deciso che sarebbe diventato un ingegnere. "In famiglia c'erano già un avvocato e un medico. Mancava quella casella", ironizza Piero Angela. "Frequentai il liceo classico perché allora lo scientifico era considerato di serie B. L'idea dei miei genitori era che qualsiasi fosse stato lo sbocco era il liceo classico a preparare meglio. Lì si imparava a scrivere meglio". Dopo le superiori, dunque, la strada era tracciata ma presto Piero Angela fece di testa sua. Si iscrisse alla facoltà di ingegneria al Politecnico di Torino, vi restò per due anni, e poi la svolta, prima con la radio e il giornalismo, poi con i documentari che hanno segnato decenni di storia della tv italiana.
"Alberto naturalista nato"
Oggi c'è solo una persona che sul piccolo schermo può prendere il posto di Piero Angela: suo figlio Alberto, ma suo padre assicura: "Ha fatto tutto da solo. E' un naturalista nato". "I genitori hanno delle aspirazioni per i figli, ma poi sono loro a dover scegliere la propria strada", spiega Piero Angela. "Già da piccolo Alberto aveva una forte vocazione naturalistica e paleontologica. E non parlo della passione per i dinosauri, che è comune a tutti i maschietti e, proprio per questo, secondo me non ha alcun significato", osserva Angela. Al contrario, Alberto "leggeva libri di scienza, dallo spazio alla natura, era quello il suo mondo. Si ricordava molto bene le cose che aveva studiato e le raccontava. Aveva già una forte dote di narratore", scherza.
Una passione che non aveva nulla a che fare con il lavoro del papà: "Allora non mi occupavo di scienza, facevo giornalismo, radio in particolare". Sulla scelta della scuola superiore, l'ombra di Piero c'è ma solo per questioni 'logistiche': "Alberto è nato a Parigi, quando era adolescente io viaggiavo molto e cosi' abbiamo deciso di iscriverlo al liceo classico francese in modo da poterlo trovare ovunque in caso di trasferimento". Poi Alberto si è iscritto al corso di Scienze Naturali all'università "La Sapienza" e dopo la laurea ha proseguito gli studi negli Stati Uniti.
Izzo: "Grata per essere stata influenzata"
Per Simona Izzo, invece, "la famiglia non ha solo influenzato ma ha anche determinato la professione - racconta - e ne sono grata". Figlia del doppiatore, sceneggiatore e attore, Renato Izzo, Simona ricorda che "papà portava a casa il suo lavoro. Avevo 13 anni, leggevo le sue sceneggiature e poi facevo tentativi di scrittura. E a volte mio padre mi faceva da editor. Ogni tanto vedevo che inseriva qualche battuta che avevo scritto nelle sue sceneggiature".
Quello di Simona Izzo era un destino segnato: "La mia aspirazione era diventare medico e ho fatto il liceo classico perché era quello che più mi preparava alla facoltà di medicina. L'attrazione era nata dalla mia paura delle malattie". E, al contrario di quello che farebbero la maggior parte dei papà e delle mamme, "i miei non mi hanno spinto verso la medicina, ma li' dove c'era l'azienda di famiglia, la società di doppiaggio di papà". Alla fine, commenta felice Izzo, "non avrei potuto fare nient'altro". E una volta mamma, ha fatto lo stesso con Francesco, il figlio nato dal matrimonio con Antonello Venditti. "Ha scelto lui il liceo linguistico perchè gli piaceva parlare più lingue, ma gli ho insegnato il mestiere".
Gamberale: "I miei gente di numeri"
A casa Gamberale, invece, Chiara, anche lei studentessa del liceo classico, era la 'diversa'. "Mio padre - il manager Vito Gamberale, ndr - è un ingegnere non solo di fatto, proprio dentro. E mia madre, una ragioniera, ha sempre lavorato in banca. Gente di numeri, insomma. La mia, dunque, è stata una vera e proprio vocazione", dice la scrittrice. "Ancora prima di imparare a leggere sentivo che l'unica cosa in grado di farmi provare una specie di pace era ascoltare delle storie. E istintivo per me è stato raccontarle: il mio primo 'romanzo' l'ho scritto a sette anni, si intitolava 'Clara e Riki' e poi sono seguiti 'Clara e Riki cresconò, 'I figli di Clara e Riki' e via così", spiega.
"I miei genitori sono stati meravigliosi nell'accogliere una figlia così diversa da loro e nel fidarsi della mia passione, nonostante non avessero gli strumenti per capire che potesse trasformarsi in una vera professione", commenta Chiara che avverte: "Nello stesso tempo, però, mio padre, un uomo molto severo e con un'infanzia dura da cui si è riscattato con lo studio prima e con il lavoro poi, mi ha sempre trasmesso l'esigenza di rendermi presto autonoma e che, qualsiasi strada imboccassi, mi mettessi nelle condizioni di poter contare sulle mie forze. Questo mix di fiducia rispetto alle mie passioni e di intransigenza riguardo agli obiettivi da raggiungere sono uno dei regali più preziosi che lui e la mia vita in generale mi hanno fatto", conclude.