AGI - Imane Fadil non è stata avvelenata ma forse è morta perché i medici non sono stati tempestivi nella diagnosi e nelle cure dell’aplasia midollare, la malattia rara che l’ha uccisa dopo un mese di agonia nella clinica Humanitas di Milano il primo marzo del 2019. Lo scrive il giudice di Milano Alessandra Cecchelli nel respingere la richiesta di archiviare l’indagine per omicidio doloso a carico di ignoti formulata dalla Procura nel settembre sempre del 2019.
Sei mesi per fare nuove indagini
Il magistrato fissa "un termine di sei mesi" per il compimento di ulteriori indagini finalizzate, in particolare, "a determinare se sia ravvisabile un nesso eziologico tra la condotta dei sanitari e la morte” a 34 anni della modella marocchina, tra i testimoni dell’accusa nella saga giudiziaria nata dalle rivelazioni della connazionale Ruby.
Il legale della famiglia, Mirko Mazzali, si era opposto all'archiviazione evidenziando anche possibili colpe mediche. E ora il giudice gli da' ragione: "Appaiono fondate le considerazioni svolte dalla difese della parte offesa con riferimento alla necessità di ulteriori approfondimenti attraverso specifica valutazione peritale anche sul se fosse prevedibile ed evitabile l'emorragia gastroesofagea che ha determinato la morte di Imane Fadil, oltre che sul se fosse possibile un accertamento della diagnosi della malattia e infine se tale tempestività poteva evitare il decesso apprestando le cure del caso".
Secondo la squadra di esperti incaricati dalla Procura mei mesi scorsi di fare chiarezza con una perizia, "le scelte terapeutiche degli ultimi giorni, successive alla diagnosi formale di aplasia midollare, non sono state coerenti con tale diagnosi" "ma non ci sono indicativi profili di colpa medica" perché "qualunque corretta terapia immunosoppressiva con o senza trapianto di midollo osseo avrebbe richiesto molte settimane prima di poter modificare la storia clinica naturale di questa malattia". Viene invece esclusa in modo radicale l’ipotesi dell’avvelenamento.
Esclusa l'ipotesi dell'avvelenamento
Nell'ordinanza con cui riapre il caso, il gip esclude esclude "in radice ipotesi penalmente sostenibili di avvelenamento dovute alla piridina o alla presenza contemporanea di altri elementi tossici" definendo "pleonastici" gli approfondimenti chiesti dalla parte offesa in quanto i corposi accertamenti svolti dalla Procura e le argomentazioni analitiche contenute nella relazione dei consulenti del pm portano a escludere questa prospettiva.
In particolare, il giudice scrive che "dalle analisi tossicologiche particolarmente approfondite effettuate sugli ampi reperti forniti ai periti dal pm è emersa solo la significativa presenza di nichel e di cromo". Nella relazione degli esperti veniva però sottolineato, ricorda, che i livelli di nichel "pur se moderatamente elevati rientrano tra i livelli riscontrati nella popolazione generale" mentre per quanto riguarda il cromo "i livelli di Imane Fadil risultano più alti dei valori di riferimento ma non tali da giustificare un'intossicazione acuta".
I familiari della ragazza soddisfatti per la riapertura del caso
Stando a quanto riferito dal legale che li rappresenta, i familiari di Imane sono "soddisfatti" per la riapertura del caso.
Nella ricostruzione dell'iter sanitario, il giudice esclude responsabilità dei sanitari che hanno visitato la donna a casa nella notte tra il 23 e il 24 gennaio 2019, 5 giorni prima del ricovero, ma di contro evidenzia una possibile diagnosi più tempestiva da parte di quelli ospedalieri. Ai primi non si può rimproverare nulla visto che "l'accertamento della patologia ha creato difficoltà anche ai sanitari della struttura ospedaliera".
Occorre invece accertare se "una eventuale intempestività nella diagnosi abbia impedito una terapia che poteva mutare la prognosi di vita della paziente".
Il consulente della famiglia, Michelangelo Casali, aveva sottolineato - e il giudice ne riporta le conclusioni - "una tardiva disponibilità del risultato dell'analisi istologica della biopsia osteomidollare oltre che una errata interpretazione delle risultanze diagnostiche acquisite in itinere dai sanitari curanti, una mancata esecuzione di procedura di plasma exchange del resto evidenziate anche dai consulenti del pm".