AGI - Non borbonico, ma romano. Una nuova ricerca ridefinisce quanto si sapeva sull'acquedotto situato sulla collina di Castellammare di Stabia, da Quisisana a Pimonte. La ricerca è dell'archeologo Umberto Pappalardo, docente a Tunisi e componente del comitato tecnico scientifico della sezione stabiese di ArcheoClub d'Italia.
Pappalardo ha percorso il tracciato dell'acquedotto di Quisisana, esaminando nel dettaglio la particolare tecnica costruttiva dei ponti che sostengono l'acquedotto in almeno due punti di grande interesse naturalistico, uno nel territorio stabiese, l'altro nel territorio di Pimonte. I mattoni utilizzati presentano notevoli differenze rispetto a quelli in uso nel periodo borbonico, cromatiche e geometriche. La stessa composizione dell'impasto risulta molto simile alle tecniche in uso in epoca romana.
Gli elementi tecnici raccolti rimandano alle tecniche costruttive degli acquedotti citate nel 'De Architectura' di Marco Vitruvio Pollione e 'Sugli acquedotti di Roma' di Sesto Giulio Frontino. Attraverso gli scavi archeologici, inoltre, sono emerse tracce delle ville stabiane che si sviluppavano sulla collina di Varano, e una porzione della città antica si sviluppava invece a ridosso del porto.
La differente quota tra le due zone (probabilmente anche di epoche diverse di costruzione, una in collina precedente all'eruzione del 79 d.C., e l'altra verso il mare dopo il 121 d.C.) necessitava di due fonti idriche differenti. Probabilmente Varano veniva rifornita di acqua dalle abbondanti sorgenti dei Monti a ridosso di Gragnano, mentre la zona portuale da Agerola e Pimonte, rispettivamente dalla sorgente Acquafredda e San Giuliano.
La canalina in cocciopesto a sezione rettangolare, che segue l'andamento delle rocce, adattandosi all'orografia dei luoghi, è stata studiata nell'interno, e ha mostrato due differenti interventi di costruzione, di cui la copertura in pietra calcarea probabilmente è stato eseguito in epoca borbonica.