Detta da un Pontefice, la cosa fa impressione: i cristiani perseguitati oggi "sono più che nei primi tempi della Chiesa". Più dei tempi di Diocleziano e Decio. Cristianesimo religione illecita, oggi come allora. Oggi più di allora.
Papa Francesco parla nella solitudine dei Sacri Palazzi, imposta dal coronavirus, ma la sua è la solitudine della religione che pure raccoglie un quinto della popolazione mondiale. Difficile immaginare che possa essere oggetto di discriminazioni o peggio. Eppure è così; i dati parlano di 260 milioni di vittime del fenomeno, forse anche più. L’odio alla fede assume molte forme, e si traveste di motivazioni anche sociali, anche economiche. Ma la sostanza è sempre quella.
Per questo il Pontefice li ricorda nella giornata che il calendario dedica alla memoria del primo martire, quello Stefano ebreo ellenizzante che ascoltava la parola di Cristo e per questo fu falsamente accusato e poi lapidato fuori della porta che, a Gerusalemme, adesso porta il suo nome.
“Oggi preghiamo per quanti soffrono persecuzioni per il nome di Gesù", dice Francesco, "Sono tanti, purtroppo. Più che nei primi tempi della Chiesa. Affidiamo alla Vergine Maria questi nostri fratelli e sorelle, che rispondono all’oppressione con la mitezza e, da veri testimoni di Gesù, vincono il male con il bene".
Il silenzio degli innocenti
Sono loro, i perseguitati nel silenzio, i primi di questi "santi nascosti" che Bergoglio indica come coloro che veramente "cambiano il corso della Storia": "i santi della porta accanto" che "brillano della luce di Gesù, non della propria". Proprio come la Chiesa che, secondo i teologi dei primi secoli, era definita "il mistero della Luna": rifrangeva la luce di Dio come la Luna quella del Sole.
La riflessione della giornata è tutta sulla figura del testimone, del martire: si diviene testimoni "imitando Gesù. Questa è la via per ogni cristiano: imitare Gesù. Santo Stefano ci dà l’esempio: Gesù era venuto per servire e non per essere servito, e lui vive per servire: diventa diacono, cioè servitore, e assiste i poveri alle mense". Insomma "cerca di imitare il Signore ogni giorno e lo fa anche alla fine: come Gesù viene catturato, condannato e ucciso fuori della città e, come Gesù, prega e perdona. Mentre viene lapidato dice: 'Signore, non imputare loro questo peccato'".
L'inizio della Storia
Questa però non è la fine della storia: al contrario, è il suo inizio. "Lo scopriamo da un particolare. Tra quelli per i quali Stefano pregava e che perdonava c’era, dice il testo, un giovane, chiamato Saulo, che approvava la sua uccisione" di Stefano.
"Poco dopo, per grazia di Dio, Saulo si converte e diventa Paolo, il più grande missionario della storia. Paolo nasce dalla grazia di Dio, ma attraverso il perdono di Stefano. Ecco il seme della sua conversione", sottolinea Bergoglio, "È la prova che i gesti d’amore cambiano la storia: anche quelli piccoli, nascosti, quotidiani. Perché Dio guida la storia attraverso il coraggio umile di chi prega, ama e perdona".
Niente di più fruttuoso e destinato a cambiare le cose. inutile semmai è chiedersi: "Servono davvero queste testimonianze di bontà, quando nel mondo dilaga la cattiveria? A che cosa serve pregare e perdonare? Solo a dare il buon esempio?".
E' quello che accade con i perseguitati del 21mo Secolo. "Oggi vediamo il testimone di Gesù, santo Stefano, che brilla nelle tenebre. Viene accusato falsamente e lapidato brutalmente, ma nel buio dell’odio fa splendere la luce di Gesù: prega per i suoi uccisori e li perdona", scandisce Francesco a ribadire: "È il primo martire, cioè testimone, il primo di una schiera di fratelli e sorelle che continuano a portare luce nelle tenebre: persone che rispondono al male con il bene, che non cedono alla violenza e alla menzogna, ma rompono la spirale dell’odio con la mitezza dell’amore".
Una vera e propria "opera straordinaria attraverso i gesti ordinari di ogni giorno" che chiama tutti, anche magari entro le semplici mura di casa: "Lì dove viviamo, in famiglia, al lavoro, ovunque, siamo chiamati a essere testimoni di Gesù, anche solo donando la luce di un sorriso e fuggendo le ombre delle chiacchiere e dei pettegolezzi".
La gente non venga in piazza
E poi, "quando vediamo qualcosa che non va, al posto di criticare, sparlare e lamentarci, preghiamo per chi ha sbagliato e per quella situazione difficile. E quando a casa nasce una discussione, anziché cercare di prevalere, proviamo a disinnescare".
Parole, quelle sul mugugno da evitare, che lo stesso Papa sembra riprendere dopo la recita dell'Angelus, facendo riferimento alla sua presenza solitaria nell'Aula delle Benedizioni invece che alla finestra del Palazzo Apostolico.
Si rivolge direttamente a chi lo segue attraverso lo streaming, la radio, i circuiti collegati in diretta. Ringrazia chi gli ha scritto, chi gli ha fatto sapere che sta pregando per lui. "Mi è impossibile rispondere a ciascuno, ma ricambio volentieri", promette. Poi nota, con l'aria di chi spiega le ragioni di una cosa poco piacevole ma necessaria: "dobbiamo fare così per evitare che la gente venga in piazza, per collaborare con le disposizioni date dalle autorità, per aiutarci".