AGI - Fine di un incubo lungo 108 giorni. Da Bengasi a Mazara solo andata. A bordo dei loro pescherecci hanno ripreso il mare, in direzione della Sicilia, i 18 pescatori trattenuti in Libia dal primo settembre. Arrivo previsto entro domenica mattina.
La notizia della liberazione fa virare bruscamente l'agenda politica e informativa, con l'effetto dirompente di un rombo d'aereo che squarcia il buio fitto calato sulla vicenda. Accade a sole alto: il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio in volo verso Bengasi.
Emozionato e con la voce rotta dal pianto, Marco Marrone, armatore del "Medinea", uno dei due pescherecci sequestrati, dice tutto d'un fiato: "Per me è un'emozione assurda. Ho pianto come un bambino". Una ragazza tunisina da Mazara urla di gioia: "Ho appena ricevuto un messaggio vocale di mio padre che mi dice 'Siamo Liberi".
Poi tocca allo stesso Di Maio intorno a mezzogiorno: "I nostri pescatori potranno riabbracciare le proprie famiglie e i propri cari. Grazie all'Aise (la nostra intelligence esterna) e a tutto il corpo diplomatico che hanno lavorato per riportarli a casa. Il governo continua a sostenere con fermezza il processo di stabilizzazione della Libia. È ciò che io e il presidente Giuseppe Conte abbiamo ribadito oggi stesso ad Haftar, durante il nostro colloquio a Bengasi".
"Buon rientro a casa", scrive Conte su Facebook, postando una foto dei pescatori liberati. Conte, Di Maio e il generale Khalifa Haftar, che controlla la Cirenaica, riporta Al Arabiya, hanno discusso "gli ultimi sviluppi relativi al dialogo politico e al processo di pace in Libia, nonché gli ultimi eventi legati al dossier libico sull'arena internazionale".
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, esprime "grande soddisfazione" e "apprezzamento" nei confronti "del ministero degli Esteri e dei nostri Servizi di informazione e sicurezza per l'impegno profuso per conseguire questo esito positivo". "Oggi è un giorno felice per l'Italia", scandisce il segretario del Pd Nicola Zingaretti. Per il leader della Lega, Matteo Salvini, però, dopo 108 giorni il governo si è mosso "con comodo".
Ma è il momento della felicità a Mazara del Vallo, anzi della "gioia pura", afferma Maria Cristina, moglie di Bernardo. Si trovava a Roma dove era tornata per protestare davanti a Palazzo Chigi: "L'ultima volta che ho sentito mio marito era l'11 novembre. Torniamo tutti a casa".
Sul caso la procura di Roma ha da tempo avviato un procedimento penale. Il fascicolo era stato aperto dai pm di piazzale Clodio come 'modello 45' e cioè senza ipotesi di reato e senza indagati. Tutto è iniziato il primo settembre. I diciotto pescatori - otto tunisini, sei italiani, due indonesiani e due senegalesi - erano a bordo dei due pescherecci mazaresi "Antartide" e "Medinea", sequestrati dalle motovedette libiche.
L'accusa avanzata dalle autorità di quel Paese, è di avere violato le acque territoriali, pescando all'interno di quella che ritengono essere un'area di loro pertinenza, in base a una convenzione che prevede l'estensione della Zee (zona economica esclusiva) da 12 a 74 miglia. Nei giorni seguenti al sequestro le milizie di Haftar hanno contestato, in modo infondato, anche il traffico di droga.
Inoltre nel corso delle trattative sarebbe stata avanzata la richiesta di uno 'scambio di prigionieri', chiedendo l'estradizione di quattro calciatori libici condannati in Italia come scafisti di una traversata in cui morirono 49 migranti. Uno strano caso questo dei calciatori-scafisti. Condannati a 30 anni di carcere dalla giustizia italiana, ma conosciuti in Libia come giovani promesse del calcio.
Sono stati condannati dalla corte d'assise di Catania e poi dalla corte d'appello etnea, con l'accusa di aver fatto parte del gruppo di scafisti responsabili della cosiddetta 'Strage di Ferragosto' del 2015. La notte della 'Strage' avrebbero contribuito con "calci, bastonate e cinghiate" per bloccare i migranti nella stiva dell'imbarcazione.
I quattro raccontarono ai giudici di aver pagato per quel viaggio, ricostruendo la loro versione, come uno di loro che disse di "giocare a calcio nella serie A" e "aveva deciso di andare in Germania per avere un futuro, impossibile in Libia a causa della guerra".
I familiari dei pescatori, mai rassegnati, hanno protestato tante volte a Mazara, in piazza, davanti alla casa del ministro alla Giustizia, sotto le finestre dei palazzi istituzionali della capitale, incatenandosi, chiedendo anche l'intervento dei corpi speciali. Si riteneva possibile una svolta proprio a ridosso del Natale. Così è avvenuto.
Adesso Mazara è in festa. Diciotto famiglie si riprendono affetti e futuro, sperando che sia fermata questa assurda 'guerra del pesce' dai costi sociali, economici e personali altissimi.