AGI - Dissidi familiari o regolamento di conti. Sono le ipotesi investigative sulla morte dei coniugi albanesi Shpetim e Teuta Pasho (54 e 52 anni all'epoca della scomparsa) i cui corpi, fatti a pezzi, sono stati trovati all’interno di quattro valigie in un campo che costeggia la superstrada Firenze-Pisa-Livorno, nelle immediate vicinanze del carcere di Sollicciano.
Ma andiamo con ordine. La coppia aveva tre figli: due femmine, Dorina e Viktoria e un maschio, Taulant, un ragazzo con precedenti penali per droga. Viene arrestato all'età di 28 anni e detenuto nel carcere di Sollicciano.
Quando esce? Alla domanda risponde il tenente colonnello Carmine Rosciano, comandante del reparto operativo dei carabinieri di Firenze: "Viene scarcerato il 2 novembre del 2015". E' una data importante, perché? E' lo stesso giorno in cui scompaiono i coniugi Pasho.
L’alto ufficiale dell’Arma che è a capo dell'indagine, coordinata da Ornella Galeotti, Pm della Procura della Repubblica di Firenze, aggiunge un altro tassello del puzzle della vita di Taulant: “Nel 2016, a giugno, viene nuovamente arrestato perché trovato in possesso di un grosso quantitativo di marijuana".
Per questo "viene sottoposto alla misura degli arresti domiciliari ad ottobre dello stesso anno” ma dopo “circa 15 giorni evade. E da allora – prosegue Rosciano – è irreperibile. E per questo è destinatario di un provvedimento di carcerazione definitiva per circa 4 anni”.
Riepiloghiamo: il figlio della coppia fatta a pezzi esce dalla prigione il giorno della scomparsa, il suo curriculum criminale sembra quello dello spacciatore professionista di droga, è un evaso ed è tuttora latitante.
Che fine ha fatto? E' ancora vivo? La sinistra coincidenza del calendario non basta ovviamente a formulare un'accusa, ma di certo alimenta il sospetto. Resta aperta anche la pista del regolamento di conti tra bande rivali, magari per una partita di droga non pagata.
Dove a farne le spese, se non direttamente chi ha fatto il torto, è il nucleo familiare. Il figlio è fuori dai radar, chi è visibile invece è la figlia Dorina che vive a Castelfiorentino.
E' lei che probabilmente si rivolse ai carabinieri: “Una delle figlie presentò una denuncia di scomparsa – spiega ancora il tenente colonnello Rosciano – il giorno 8 novembre del 2015”, ma la ragazza “precisò che i genitori non li vedeva da almeno sei giorni, dal 2 novembre”.
C'è altro nel taccuino degli investigatori? Voci di dissidi e litigate in famiglia. E naturalmente quel tatuaggio inciso sull’avambraccio dell’uomo, la prima chiave dell'inchiesta.
Una traccia preziosa conservata grazie allo stato di saponificazione e alla pellicola di nylon nella quale erano avvolti i resti dell'uomo. Il disegno riproduce un’ancora con sotto il nome di una città albanese, 'Vlore', che in lingua albanese significa Valona, seguita dalla scritta ‘shp’, le prime tre lettere del suo nome.