AGI Cinque detenuti che erano nel carcere di Modena l’8 marzo quando morirono 13 persone durante la rivolta, in piena pandemia, raccontano in un esposto rivolto alla Procura di Ancona. letto dall'AGI, di un “pestaggio di massa” e di soccorsi negati ai loro compagni di cella che stavano male per avere ingerito farmaci.
Una conferma di quanto già raccontato da altri reclusi
Una ricostruzione che somiglia molto a quella resa ad agosto da altri due reclusi attraverso altrettante lettere spedite all’AGI che hanno dato l’avvio, sulla base dell’inchiesta giornalistica, a un’indagine della Procura di Modena per omicidio colposo a carico di ignoti.
I firmatari, che indicano i nomi dei loro difensori, hanno consegnato all’ufficio matricole del carcere di Ascoli l’esposto destinato ad Ancona (Procura competente per territorio) in cui domandano di essere sentiti dai magistrati per contribuire a “fare chiarezza” su quanto accadde in uno dei giorni più neri per il sistema carcerario italiano.
A margine della denuncia, familiari e avvocati fanno presente che, dopo la presentazione del documento, i cinque sono stati riportati nel carcere di Modena “in un ambiente ostile”. Le ragioni del trasferimento non sono al momento chiare. Dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria arriva un “no comment”, mentre fonti investigative assicurano che i cinque “non sono indagati e nemmeno sono stati sentiti a Modena”. La loro ricostruzione, tutta da verificare nell’ambito delle indagini in corso, è molto cruda.
"Pestaggi di massa anche se non opponevamo resistenza"
Dichiarano “di aver assistito ai metodi coercitivi messi in atto da parte degli agenti della polizia penitenziaria di Modena e successivamente di Bologna e Reggio Emilia intervenuti come supporto. Ossia l’aver sparato ripetutamente con le armi in dotazione anche ad altezza uomo. L’aver caricato detenuti in palese stato di alterazione psicofisica dovuta ad un presumibile abuso di farmaci, a colpi di manganellate al volto e al corpo, morti successivamente a causa delle lesioni e dei traumi subiti, ma le cui morti sono state attribuite dai mezzi di informazione all’abuso di metadone”.
Anche loro, sostengono, sarebbero stati “picchiati selvaggiamente e ripetutamente dopo esserci consegnati spontaneamente agli agenti, dopo essere stati ammanettati e privati delle scarpe, senza e sottolineiamo senza, aver posto resistenza alcuna. Siamo stati oggetto di minacce, sputi, insulti e manganellate, un vero pestaggio di massa”.
"Salvatore lasciato morire tra versi lancinanti"
Un capitolo a parte è dedicato alla vicenda di Salvatore Piscitelli, il 40enne sulla cui morte i suoi compagni di teatro di Bollate, dove era rinchiuso prima di Modena, avevano chiesto “la verità” in una lettera resa pubblica a giugno.
“Il detenuto Piscitelli, già brutalmente picchiato presso la casa circondariale di Modena e durante la traduzione, arrivò presso la casa circondariale di Ascoli Piceno in evidente stato di alterazione da farmaci tanto da non riuscire a camminare e da dover essere sorretto da altri detenuti. Una volta giunto alla sezione posta al secondo piano lato sinistro gli fu fatto il letto dal detenuto F. (uno dei firmatari dell’esposto) poiché era visibile a chiunque la sua condizione di overdose da farmaci. Appoggiato sul letto della cella numero 52 gli fu messo come cellante (il compagno di cella, ndr) il detenuto M. (anche lui tra i denuncianti).Tutti ci chiedemmo come mai il dirigente sanitario o il medico che ci aveva visitato all’ingresso non ne avesse disposto l’immediato ricovero in ospedale. Tutti facemmo presente al commissario in sezione e agli agenti che il ragazzo non stava bene e necessitava di cure immediate. Non vi fu risposta alcuna. La mattina seguente fu fatto nuovamente presente (da C. altro firmatario dell’esposto) che Piscitelli non stava bene, emetteva dei versi lancinanti e doveva essere visitato nuovamente ma nulla fu fatto. Verso le 09:00 del mattino furono nuovamente sollecitati gli agenti affinché chiamassero un medico, qualcuno sentì un agente dire “ fatelo morire “, verso le 10:00 - 10:20 dopo molteplici solleciti furono avvisati gli agenti che Piscitelli Salvatore era nel letto freddo, Piscitelli era morto. Il suo cellante fu fatto uscire dalla cella e ubicato nella cella numero 49 insieme al F. (il compagno che gli aveva fatto il letto, ndr). Piscitelli fu sdraiato sul pavimento (cosa che si fa per praticare manovre rianimatorie, ndr), giunta l’infermiera la stessa voleva provare a fare un’iniezione al Piscitelli ma fu fermata dal commissario che gli fece notare che il ragazzo era ormai morto. Messo in un lenzuolo fu successivamente portato via. Successivamente abbiamo notato che molti agenti e il garante stesso dei detenuti asserivano che il Piscitelli fosse morto in ospedale”. Anche nelle lettere acquisite dalla Procura di Modena, i due detenuti - testimoni aveva parlato di “mancate cure” in carcere, nonostante fosse "molto debole", a Piscitelli.
Sulla sua fine le versioni sono contrastanti. La direzione e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria sostengono che sia deceduto in ospedale dopo essere stato soccorso in cella, in una relazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e in una comunicazione del ministro di Giustizia si dice che è morto “presso il carcere”. Un altro passaggio della denuncia si sofferma sulle visite svolte all’arrivo ad Ascoli. "Uno alla volta e quasi tutti senza scarpe fummo accompagnati prima in una stanza ove venimmo perquisiti e successivamente sottoposti alla classica visita medica, dove a molti di noi non fu neanche chiesto di togliersi gli indumenti per constatare se avessimo lesioni corporee". La mattina dopo l'arrivo “molti di noi furono picchiati con calci, pugni e manganellate, all’interno delle celle a opera di un vero e proprio commando di agenti della penitenziaria»
Ma dei pestaggi non c'è traccia nelle relazioni ufficiali
Dei presunti pestaggi non c’è traccia nelle relazioni del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) e nelle risposte date a question time e interrogazioni parlamentari presentate, le ultime ancora in sospeso. E da quel che si sa sugli esiti delle prime autopsie, non sono emerse violenze, mentre sembrerebbe acclarato l’abuso di farmaci e metadone.
“Il mio assistito è stato riportato a Modena - dice il legale di uno dei firmatari, l’avvocato Domenico Pennacchio - circostanza che ha messo in agitazione i suoi familiari. Quello che sembra emergere, secondo le prime ricostruzioni, è che questi detenuti hanno abusato di farmaci razziati dall’infermeria e poi non sono stati soccorsi. Stamattina ho ricevuto una comunicazione dal garante della Regione Campania al quale mi ero rivolto a tutela dell’incolumità del mio assistito, che è prossimo alla scarcerazione, in relazione al trasferimento a Modena, ma mi hanno detto di rivolgermi al Garante dell’Emilia Romagna. Al Dap avevamo chiesto più volte un riavvicinamento in un carcere alla famiglia, sempre negato. Come legale ho delle perplessità e delle preoccupazioni sul ritorno a Modena”.
La polizia penitenziaria nega i pestaggi
La parte del racconto sui pestaggi viene negata anche da Gennarino De Fazio, segretario nazionale Uilpa della polizia penitenziaria, che invita a riflettere invece su altre possibili mancanze nella gestione della protesta. “Mi sento di escludere che ci sia stata violenza senza motivo. Parliamo di un istituto penitenziario incendiato e devastato, sono stati divelti cancelli e tentata un’evasione di massa. Immagino ci siano state delle perquisizioni accurate perché alcuni avevano armi rudimentali od oggetti da taglio e che quindi si sia dovuto ricorrere anche al denudamento di qualche detenuto. Teniamo presente che parliamo di un carcere col 152% di sovraffollamento, la capienza regolamentare è di 369 detenuti, ce n’erano 560 in quel momento. Solo questa segna il livello di accuratezza della gestione all’interno del penitenziario. In quel contesto, se c’è stata violenza la possiamo definire ‘legittima’ perché serviva per ripristinare l’ordine, evitare evasioni ed eventuali soprusi di detenuti sui loro compagni”.
De Fazio sottolinea altri aspetti della vicenda: “Il fatto che i detenuti siano arrivati così facilmente alle infermerie degli istituti e si siano approvvigionati di metadone con così tanta facilità dimostra che qualcosa è mancato. Si aveva l’obbligo di rendere più sicure le infermerie? Non impedire la commissione di un reato, per il nostro codice penale, equivale a cagionarlo. Non è possibile che siano morte in questo modo 13 persone”.