AGI – Dalla richiesta di 16 anni alla condanna a 4 anni di carcere; dall’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, a quella, derubricata, di omicidio stradale. Una sentenza che ribalta completamente l’impianto accusatorio quella pronunciata stamattina dal gup di Milano, Carlo Ottone De Marchi, per Fabio Manduca, il tifoso napoletano 40enne considerato responsabile della morte di Daniele Belardinelli, ultrà varesino finito sotto un’auto durante gli scontri Inter-Napoli del dicembre 2018, e morto in ospedale per i traumi.
Per Manduca, infatti la Procura, sulla base delle indagini della Digos milanese coordinate dalle pm Rosaria Stagnaro e Michela Bordieri, aveva chiesto 16 anni. E sottolineato il fatto che il tifoso napoletano aveva "scelto" di accelerare "passando sopra il corpo steso", e accettando “l'eventualità” che il suo gesto avrebbe provocato alla vittima "quasi inevitabilmente danni letali": da qui la fattispecie di ‘dolo eventuale’, punibile con una pena, già ridotta di un terzo per il rito alternativo, di 16 anni; al contrario per l’omicidio stradale il massimo è di 7 anni, che sono diventati 4 con lo sconto.
La sentenza, a porte chiuse per via del rito abbreviato, di fatto apre la strada alla scarcerazione per Manduca, che si trova ai domiciliari in cautelare a Napoli, e che aveva un permesso per andare a lavorare in un’agenzia di pompe funebri: sotto i 4 anni infatti è possibile per la difesa chiedere una misura alternativa. Il 40enne stamattina era in aula, ma non ha avuto – da quanto appreso – alcuna reazione quando ha ascoltato il dispositivo del gup. A parlare è stato invece il suo avvocato Eugenio Briatico: "La sentenza ha dimostrato che non c'era volontarietà nell'azione del mio assistito. Intanto aspettiamo il deposito delle motivazioni fra 15 giorni e poi decideremo eventualmente una modifica della misura dei domiciliari. Infine vedremo se sviluppare l'appello per l'assoluzione definitiva”.
D’altra parte, nel corso di dichiarazioni spontanee in una delle scorse udienze, Manduca aveva da sempre sostenuto: "Sono solo fuggito spaventato perché intorno all'auto avevo una trentina di persone. Se ho investito qualcuno, non me ne sono accorto". Per il 40enne scatta anche il ritiro della patente, e una provvisionale da 80mila euro ciascuno per le parti civili: la madre, la moglie e la figlia maggiorenne di Belardinelli. Che invece, comprensibilmente, non sono soddisfatte dell’esito: “E' una sentenza che ci sorprende – ha fatto sapere la madre tramite l’avvocato Gianmarco Beraldo – in questo modo è stato trattato l’episodio come se fosse un incidente del sabato sera”.
Quasi scontato il ricorso in appello della Procura, una volta lette le motivazioni, che saranno depositate tra 15 giorni. L’impianto accusatorio delle due pm, invece, era stato sposato dal primo giudice, che ha seguito le indagini preliminari, Guido Salvini. Il quale nella prima ordinanza aveva parlato di “un'azione di stile militare, preordinata per tendere un agguato ai tifosi della squadra opposta" da considerarsi "espressione tra le più brutali di una 'sottocultura sportiva di banda' che richiama per la tecnica usata, uno scontro tra opposte fazioni politiche".
Quella sera, intorno allo stadio Meazza il segnale per lo scontro fu dato con un fumogeno. La schiera in marcia dei tifosi interisti era armata di mazze e coltelli. La carovana delle auto dei napoletani era posizionata in un modo preordinato. Manduca era alla guida della Renault Kadjar che investì Belardinelli e poi passò con tutte e due le ruote del lato destro sul corpo dell'ultrà del Varese (squadra gemellata con l'Inter) rimasto ucciso. Immediatamente dopo l'incidente la situazione di Belardinelli non apparve gravissima, tanto che alcuni amici - tra cui Luca Da Ros, unico a collaborare con gli investigatori - lo sollevarono e portarono in macchina all'ospedale San Carlo. Belardinelli morì qualche ora dopo per le lesioni plurime alle gambe e al bacino (come accertato anche dalla successiva autopsia a firma della dottoressa Cristina Cattaneo).
In un'intercettazione, Manduca parlò dell'incidente, ma disse, in napoletano: "Chillo s'è vuttato isso 'nnanze 'a machina. Ma si pure l'aggio vuttato nun ce ne simmo accorte" ("quello si e' buttato sotto la macchina, ma se anche l'ho buttato non ce ne siamo accorti"). Parole che sono valse, nella prima fase di indagini, per configurare l'accusa di omicidio volontario, tanto quanto le immagini delle telecamere di sorveglianza pubbliche e private che hanno ripreso gli scontri di via Novara, ma non il momento dell'incidente e che sono state analizzate per mesi dalla Digos; a questo si sono aggiunte anche le perizie scientifiche: la Kadjar incriminata (trovata a Napoli qualche giorno dopo) sotto non era sporca uniformemente come le altre auto, ma aveva una 'strisciata' compatibile con il contatto e il passaggio su un corpo.
In altri filoni del processo sono già arrivate diverse condanne per rissa e lesioni personali legate a quegli scontri: dai 3 anni ai 3 anni e 10 mesi per l'ultrà del Varese, Alessandro Martinoli e per gli esponenti della curva interista Marco Piovella, Francesco Baj, Simone Tira e Nino Ciccarelli. Unico a patteggiare Luca Da Ros, supertestimone delle indagini. Gli amici di Belardinelli, alla notizia della sentenza di questa mattina, sui social hanno pubblicato una foto di Belardinelli e il messaggio 'Dede sempre con noi'.