AGI - La metà dei decessi, il quadruplo dei casi. Si può sintetizzare così il confronto (provvisorio) tra la seconda ondata ancora in corso in Italia e la prima ondata, iniziata a febbraio. Ulteriore conferma che i casi reali in quei drammatici mesi a cavallo tra inverno e primavera erano molti di più di quelli registrati, a meno di non voler inseguire improbabili teorie su un virus "cambiato".
Ma quando è iniziata la seconda ondata? Difficile stabilire una data: gli esperti hanno osservato un primo rialzo rispetto alla calma piatta estiva ad agosto, ma fino a settembre compreso, pur essendo saliti da circa 200 a 500 i casi giornalieri, i contagi erano ampiamente sotto controllo. E' all'inizio di ottobre che la curva si impenna decisamente, e punta verso il picco. Allora non lo sapevamo, ma la seconda ondata vera e propria può datarsi in quei giorni.
Il 5 ottobre i nuovi casi erano 2.257, in calo rispetto al giorno prima. Da allora una crescita continua, esponenziale nelle prime settimane, che ha portato al record di oltre 40mila casi in un solo giorno, il 13 novembre. Se si prende quindi il 5 ottobre come data ipotetica di inizio della seconda ondata (e il 15 novembre giorno di picco), si può fare un primo bilancio, purtroppo provvisorio.
I nuovi casi da allora, ossia da meno di due mesi, sono stati tantissimi: 1.273.968 contagi. Durante tutta la prima ondata, da febbraio a maggio e comprendendo anche il lungo strascico durato appunto fino ad agosto-settembre, i contagi registrati erano molto meno, 327.586. Segno che questo secondo tsunami è più impetuoso del primo? Non proprio.
Basta analizzare il dato dei decessi: 36.002 nella prima ondata, 19.574 in questa seconda ondata, stando all'ultimo bollettino di oggi. E anche le terapie intensive, pur essendo salite verticalmente fino a metà novembre, momento del picco, si sono attestate intorno alle 3.700 unità, non raggiungendo il massimo della prima ondata, 4.068, raggiunto il 3 aprile. Se prendiamo questo parametro, e soprattutto quello dei decessi, è evidente che il confronto tra le due ondate pende decisamente ancora a favore della prima in termini di gravità e diffusione.
Fa fede il tasso di letalità, ossia quanti malati di Covid muoiono. In questa seconda ondata è dell'1,5%, cioè si è allineato a quello medio globale. Nella prima ondata era uno spaventoso 11%. E' chiaro che questa differenza enorme non può essere spiegata solo con la migliore preparazione del sistema, dei medici, della popolazione. D'altra parte se oggi arriviamo a fare 230mila tamponi al giorno e a marzo e aprile si arrivava a stento a 25mila vuol dire una cosa sola: i casi reali erano assai di più. Prendendo come base una letalità dell'1,5%, in sostanza, i 36.002 morti della prima fase corrisponderebbero a qualcosa come 2,4 milioni di malati, contro i 327mila dichiarati.
C'è anche un'altra differenza, che stiamo vedendo in questi giorni: la curva scende con una certa rapidità e costanza, in poco tempo tutto sommato (nemmeno un mese di chiusure, peraltro parziali in base alle diverse regioni), mentre è nella memoria di tutti il lungo e drammatico plateau su cui l'epidemia si era inerpicata nella prima ondata, pur in pieno lockdown totale. Altro indizio che non solo i casi erano molto di più, ma erano in circolo da molto più tempo rispetto alla scoperta del cosiddetto "paziente 1" a Codogno, a fine febbraio. Malgrado i numeri assoluti dei contagi, insomma, omogeneizzando i dati si vede come la curva della prima onda è stata ben più massiccia, e si è spinta a vette più elevate della seconda.