AGI - Avevamo imparato a vederle per strada, silenziose e discrete, le tute mimetiche dell'Esercito, nei centri delle città e vicino ai luoghi sensibili, dopo l'avvio dell'operazione 'Strade sicure'. Stiamo imparando a vederle sempre più vicine ai camici di infermieri e medici, negli ospedali da campo, nei 'drive through' per i tamponi, come quello allestito al parcheggio del parco di Trenno a Milano, e infine nei centri per il triage avanzato, come quello sistemato in via Novara.
Abbiamo poi, in piena emergenza, imparato a fidarci di uomini e donne in camice e con un grado militare, perché l'impegno delll'Esercito è quello di 'dare una mano' nel disastro causato dal Covid alle nostre vite. Il fulcro dell'impegno, deciso dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è l'ospedale militare di Baggio, a Milano, che ha cominciato la sua attività in un nebbioso giorno di marzo, mentre la città era sul punto di capitolare alla prima ondata.
Da quel giorno non ha mai smesso di lavorare. La struttura ha aperto le porte all'AGI nel pieno della seconda ondata. L'ospedale che si trova nella estrema periferia a sud ovest della città appare silenziosa, ma operosa: la porta scorrevole si apre, il prato, ben curato, è decorato con lo scudo bianco e rosso della città e la scritta: 'Ospedale militare di Milano'.
Ad accogliere è il colonnello Fabio Zullino, direttore e coordinatore regionale dei medici dell'esercito in Lombardia: la divisa seriosa viene sdrammatizzata dal basco e da un sorriso: "Abbiamo messo all'opera 200 medici, 400 infermieri professionali, centinaia di ambulanzieri e figure di supporto. Ci siamo coordinati con la Protezione civile, le Ats e le Asst, i Comuni e le Regioni. Insomma l'impegno dell'Esercito nella pandemia è massiccio", spiega in un ufficio che ancora mostra l'Ambrogino d'oro (la più alta onorificienza che Milano destina a chi fa del bene), ricevuto ormai molti anni fa dall'ospedale che ora dirige.
Mentre camminiamo su una passerella che collega i 6 padiglioni, il comandante racconta quello che è stato di un edificio così vasto, forse smisurato per le proporzioni a cui siamo abituati con occhi moderni. Eppure, tornato utile quasi 100 anni dopo la sua realizzazione: "E' stato costruito nel 1934, per molti anni a popolarlo sono stati i ragazzi obbligati alla leva; poi i ricoveri si sono azzerati, fino a metà febbraio del 2020, quando il ministro ha deciso di rimetterci in campo".
Dal 'Genio militare', quella divisione con un nome antico che si occupa degli edifici in mano alla Difesa sparsi sul territorio nazionale, "sono arrivati ingegneri e tecnici che hanno riconvertito" i corridoi, un tempo abbandonati, "in reparti di malattie infettive". Per il momento, ad essere operativi sono gli ultimi padiglioni della fila, mentre gli altri, ancora un po' in abbandono, attendono ristrutturazione. E' bastato questo, assieme alla consulenza degli infettivologi del Celio, però, per creare un ospedale che dall'inizio dell'epidemia "non si è mai fermato": "A giugno era diminuita la presenza di civili, poi sono arrivati molti colleghi che nel frattempo si erano contagiati".
E così nel 'braccio' più periferico dell'ospedale, separato da una transenna verde, inizia l'area 'sporca'. "I pazienti non sono acuti e non hanno bisogno di ventilazione, ma in questi mesi abbiamo avuto anche casi seri, per cui è stato necessario un aiuto con l'ossigeno. La sintomatologia diventa più preoccupante man mano che avanza l'epidemia", racconta il colonnello. Chi è in via di guarigione qui ha un vantaggio: un grande giardino pieno di verde dove poter prendere una boccata d'aria, leggere, scambiare qualche parola con gli altri malati: "Una possibilità che non sempre è consentita negli ospedali normali".
Nei 50 posti letto passati centinaia di pazienti
Nei 50 posti letto creati a Baggio, mentre i lavori vanno avanti per ampliarli sono passate dall'inizio dell'epidemia centinaia di persone. Alcune rimaste anche 25 giorni di fila. Ma il record è di un'anziana di 91 anni, ricoverata qui quando delle cure per i sintomi si sapeva ancora poco: "Nonna Carmela è rimasta con noi per un mese e mezzo. Dopo 13 tamponi positivi, finalmente l'ultimo, quello che ha dato la negatività. Quando ha avuto la notizia delle dimissioni è stata dolcissima: ha pianto, ci ha mandato baci come fossimo suoi figli. Le abbiamo risposto con un lungo applauso", continua Zullino, che è un medico di famiglia, oltre che graduato militare. Un doppio ruolo che quasi amplifica l'emozione di "ricevere anche solo un sorriso di riconoscenza da qualcuno che hai aiutato".
Questa pandemia è stata un'occasione in più, per l'Esercito, per avvicinarsi "alla popolazione civile", e forse dimostrare qualcosa a chi critica le risorse pubbliche spese in Difesa. "Noi ci siamo sempre stati: nei disastri, nei terremoti, in guerra. Se dell'Italia all'estero si parla bene è anche perché siamo noi a portare quella bandiera in contesti molto difficili".
E quando si parla di 'contesti difficili' la pandemia ci ha insegnato che non c'è bisogno di andare molto lontano: Piacenza, epicentro della prima ondata, dove è arrivato il primo ospedale da campo, Lodi, con i medici dell'Esercito nei reparti civili; Desenzano e Alzano Lombardo. Ora Milano, che sta combattendo la sua seconda grande battaglia contro il virus: mentre le auto si incolonnano nelle 8 file disposte a Trenno per i tamponi 'drive through'.
Viene allestito un servizio simile a Linate; mentre i pazienti continuano ad arrivare, all'ospedale di via Saint Bon si apre un nuovo servizio di somministrazione del vaccino antinfluenzale ai più fragili. Nei prossimi giorni arriverà un contingente di medici e infermieri all'ospedale di Monza e da venerdì anche una piccola squadra di operatori sanitari in aiuto alle carceri di Milano.