AGI – Ha un bel piangere le sue insopportabili lacrime di coccodrillo il governo danese, che prima fa secchi 17 milioni (diciassette milioni, 17.000.000/00) di visoni e poi, arrivato al diciottesimo, si accorge che non ve n’era giustificazione legale.
Verrebbe da chiedere dove li mettessero, vista l’estensione territoriale dell’infingardo paese ospitante, ma ormai la questione non interessa più. Il danno è fatto, la condanna emessa e la sentenza eseguita. Un nuovo salto di qualità nella storia sempre più fosca della pandemia, che imporrebbe la razionalità ed invece induce all’illogico.
Anzi, più l’uomo ha finora ostentato fredda superiorità sul morbo, più adesso sembra travolto dall’ansia. La Danimarca, per dire, faceva circolare a settembre (mentre da noi iniziava a crescere la curva del contagio) l’immancabile ricerca accademica.
Dimostrava come, nella vicina Svezia, le cose filassero a meraviglia; merito, manco a dirlo, dell’infischiarsene del distanziamento sociale, per non dire della mascherina. Roba da europei del meridione: l’immunità di gregge loro non l’avrebbero mai avuta. Al Nord era solo questione di giorni.
Poi la rivelazione: tutta colpa del visone.
Liberi nel Parco
Chi non ricorda l’ultima scena di Gorky Park, filmone di quarant’anni fa, perla del noir a sfondo geopolitico? Si apre una gabbia e coppie di visoni saltano e corrono nella neve, liberi come l’aria, impipandosene loro sì apertamente di tutto: del raffreddore, dell’influenza e del comunismo. A rivederla alla luce dell’’89 parrebbe la profezia della primavera dei popoli, adesso sembra fuga per la salvezza.
L’uomo post-positivista di questo secolo inizia a somigliare in modo inquietante al progenitore medievale. Sarà un caso, ma da quando imperversa il covid è riemersa la paura per il mondo animale. Il primo a farne le spese è stato il pipistrello, creatura della notte associata da sempre a sinistre esperienze diaboliche.
Addosso gli hanno trovato non uno, ma ben 200 tipi diversi di coronavirus: una bomba infettiva che avrebbe operato satanicamente nei wet market cinesi. Quelli, per intenderci, dove si vende la carne ancora viva e non macellata (ognuno se lo faccia a casa, è il bello della cucina casalinga, ma se non ve la sentite lo facciamo noi là per là) di bestie selvatiche per noi incommestibili. Essere lunare come la svastica sinistrogira, da esso non c’è da aspettarsi nulla di buono.
Cattive compagnie
Un po’ come il visone, del resto. Mustelide aristocratico, sì, ma pur sempre mustelide. Cioè cugino intimo dell'ermellino che copriva il mantello dei re, ma ancor più intimo della donnola, della faina, del furetto.
Il peggio del peggio: lazzaroni che appestano con la loro fiataccina le pagine di Pinocchio e Ciuffettino; esseri corrotti e corruttori di fronte ai quali la debole virtù di un qualsiasi Melampo resiste il tempo di un respiro. Nemici del genere umano: se l'ermellino si lascia cacciare dal signore feudale, la donnola toglie al suo servo della gleba la gallina, unico mezzo di sostentamento al netto della decima e della corvée.
Inevitabile che sia odiato, il mustelide qualsiasi esso sia, ed è risaputo che se c’è una cosa implacabile e feroce è il desiderio di vendetta del contadino. Dura nei secoli, non si spegne mai.
Attaccato alla classe operaia
Eppure il visone l’aveva tentata, la riabilitazione, pagandola pure a caro prezzo ma assurgendo a simbolo della salute economica di chi l’indossava, o lo faceva indossare. Benessere borghese nell’Italia del Boom, la Treviso di Signore e Signori ne era piena.
Proprio mentre nelle sale usciva Gorky Park, a Milano creativi della moda lo attaccavano addirittura al jeans – fino ad allora emblema della classe operaia – ad unire nel fashionable l’idea di sviluppo di partiti che avevano appena abbandonato Marx in favore di Proudhon.
Durò poco, anche se nel frattempo proprio Gorky Park diveniva il simbolo della Mosca da bere. Arrivarono le bombolette spray degli animalisti e le manifestazioni degli ecologisti. Il visone sparì dalla circolazione, o almeno da quella politicamente corretta.
Tanto che, lo ripetiamo, l’apprendere come nella sola Danimarca ve ne siano stati fino ad oggi 17 milioni ingenera una lieve sensazione di sgomento. Forse sono i nipoti di quelli scappati da Mosca nel 1983.