AGI - E' partito lo studio per verificare la possibilità di usare particolari farmaci per inibire uno degli effetti più pericolosi dell'infezione da Sars-Cov2, l'infiammazione del tessuto endoteliale, che riveste tutti i vasi dell'organismo umano. Sostenuta dalla Fondazione Spedali Civili la ricerca è condotta dall'Asst Spedali Civili di Brescia in collaborazione con Università di Brescia, Università di Verona e Ifom (Istituto Firc di Oncologia molecolare).
L’infezione da Covid-19 va ormai considerata una patologia sistemica, che può quindi interessare indistintamente tutti i nostri organi. Le recenti acquisizioni scientifiche hanno, infatti, dimostrato che il virus Sars-Cov2 non si limita ad attaccare gli alveoli polmonari, ma che l'infiammazione interessa primariamente l'endotelio, il rivestimento di tutti i vasi dell'organismo (sanguigni, linfatici e la superficie interna del cuore).Esami istologici sui polmoni di pazienti deceduti per Covid-19 hanno evidenziato gravi lesioni endoteliali, manifestazioni trombotiche diffuse associate a danni ai vasi sanguigni di piccole dimensioni e strutture deformate dei capillari di nuova formazione.
Se si considera che il tessuto endoteliale ricopre una superficie di 1.000 metri quadrati del corpo umano, si capisce quanto sia rilevante riuscire a contenere l'infiammazione causata dal virus.
"Per questa ragione - sottolinea Marta Nocivelli, presidente di Fondazione Spedali Civili - abbiamo deciso di sostenere la ricerca guidata da Camillo Almici, responsabile del Servizio di Immunoematologia e medicina trasfusionale del Civile di Brescia. Si tratta di un progetto che, attraverso acquisizioni biologiche e molecolari, mira a verificare l'utilità dell'impiego di specifici farmaci per bloccare gli effetti che l'infezione da Covid 19 ha sull'endotelio. Una ricerca particolarmente importante se si considera che ad oggi sono davvero pochi i farmaci che possono essere utilizzati per combattere questa patologia".
Si parte studiando le caratteristiche delle cellule endoteliali
Principale obiettivo è capirne i meccanismi fisiopatologici: "Quello che ci proponiamo di fare - spiega Almici - è appunto studiare le caratteristiche biologiche e molecolari delle cellule endoteliali che circolano nel sangue dei pazienti e di quelle che partecipano alla formazione dei vasi sanguigni (progenitori endoteliali) per testare potenziali trattamenti così da ripristinare la corretta funzionalità endoteliale".
Le cellule endoteliali circolanti rappresentano una rara sottopopolazione cellulare presente nel sangue periferico, in condizioni normali queste si staccano dalla parete dei vasi per essere sostituite da nuove cellule. Il distacco può avvenire, però, anche come conseguenza di un danno vascolare che è ciò che accade nei pazienti malati di Covid-19, come è stato dimostrato da recenti studi.
"Insieme ai progenitori endoteliali, indice della capacità del nostro organismo di riparare un danno, - prosegue Camillo Almici - queste cellule ci dicono se l'attività vascolare è in equilibrio. Se in circolo ci sono quantità di cellule endoteliali oltre a una determinata soglia significa, infatti, che è presente un danno. Come è stato dimostrato in svariate condizioni cliniche, controllare il loro andamento è un preciso indicatore dello stato di 'salute' del tessuto endoteliale e della risposta ai trattamenti".
Semplificando, il progetto analizzerà e conterà le cellule dei pazienti malati di Covid-19, dal loro studio in colture in vitro sarà così possibile valutare quale sia il loro comportamento nella formazione di nuovi vasi comparandolo con l'analoga attività di soggetti sani. Non solo. Sarà anche possibile verificare la loro risposta ai trattamenti che verranno testati. Se i risultati saranno quelli attesi sarà possibile aprire un nuovo fronte di interventi contro il Covid-19.