AGI - Manifestare è un diritto che va tutelato, soprattutto all'indomani di restrizioni come quella del lockdown, che hanno imposto il confinamento per tre mesi. E' il senso del provvedimento con cui il gip di Milano, Guido Salvini, ha rigettato il decreto penale di condanna e trasmesso di nuovo il fascicolo al pm, nei confronti di una 45enne milanese che aveva organizzato alcuni flash mob davanti alle sedi istituzionali del capoluogo lombardo, per le vittime del Covid.
I fatti risalgono a maggio: la donna ha promosso , il 13, il 15 e il 25 del mese, alcune manifestazioni spontanee per "manifestare il suo dissenso in merito alle modalità con cui la Regione Lombardia aveva affrontato la cura e la prevenzione per i cittadini esposti al Covid-19, sia negli ospedali pubblici, sia nelle Rsa - si legge nel provvedimento -, chiedendo giustizia per le vittime e un'indagine indipendente".
In particolare la 45enne aveva manifestato con altre 3 persone davanti al Pio Albergo Trivulzio, casa di riposo dove il virus ha mietuto molte vittime nella prima ondata, "esponendo dei cartelli con la nota foto dell'infermiera con visiera e mascherina, a testa china su un tavolo al termine di un turno di lavoro".
La stessa cosa era avvenuta in Piazza della Scala, con 7 donne (quella volta lasciarono un biglietto alla portineria del Comune per chiedere un'intervista al sindaco, Giuseppe Sala); mentre il 25 maggio aveva radunato una decina di persone davanti a Palazzo Lombardia, sempre in modo pacifico e con lo stesso scopo. In quelle occasioni era stata la Digos ad intervenire e a denunciarla per manifestazione non autorizzata, richiamandosi al Testo unico per la pubblica sicurezza.
Per il giudice il flah mob è una forma di comunicazione
Il giudice scrive però che "bisogna tenere conto anche del periodo storico in cui è stato emanato il Tulps", ossia il periodo fascista (fu emanato il 18 giugno 1931), e anche capire "a quale tipo di pubbliche riunioni o manifestazioni possa oggi ritenersi applicabile". La finalità di quel testo - spiega - è principalmente quella di evitare che "raggruppamenti di persone, in genere motivati da una comune posizione politica, provochino pericoli o disagi, o turbino la vita della città".
Ma nel caso in questione "si è trattato della presenza di pochissime persone, senza striscioni o bandiere; nessuno ha preso la parola e non è stato arrecato alcun disturbo". Non c'è dunque neanche il "coefficiente minimo di pericolosità" per ritenerla responsabile di un reato. Anzi: quei flash mob rappresentano una "presenza simbolica che funziona da mezzo e forma di comunicazione e quindi rappresenta una manifestazione della libertà di espressione che non ha bisogno di particolari autorizzazioni", conclude il giudice. Tanto più, considerando il periodo storico, ovvero subito dopo la fine del lockdown: quei tre mesi nei quali molte libertà fondamentali erano state compresse, per tutelare il diritto di tutti alla salute.