AGI - Albino, Val Seriana: 197 sedie galleggiano nel vuoto sulle strade all’altezza delle bandiere italiane ancora salde alle finestre dove si cantava mentre qui si moriva più che altrove nella provincia di Bergamo stesa dal Covid. Più che a Nembro, più che ad Alzano Lombardo (che hanno però meno abitanti).
“Sono per i nostri cari che ci guardano da lassù”, immagina una donna.
La scia delle sedie in cielo porta alla piazza della Chiesa di San Giuliano dove la comunità di quasi 18mila abitanti, rappresentata da 600 persone invitate dal Comune, sceglie un rito antico per incidere la memoria e ricominciare. Bruciare. Gettare nel fuoco i fogli coi nomi di ciascuno dei caduti che vengono prima scanditi uno a uno dagli amministratori comunali che salgono sul palco, ognuno col proprio piccolo tesoro di vite da far risplendere nella voce per lunghi attimi.
Il sindaco Fabio Terzi ricorda quando “solo nel mese di marzo ci hanno lasciati 150 di noi e ho dovuto firmare 30 certificati di morte in tre giorni”.
Le note del ‘silenzio’ interpretato dalla banda del paese si incrinano allo scoppiettio del fuoco che promana dalla vasta brace accesa in piazza. La carta si sgretola piano, il tempo di affidare un messaggio o una preghiera a chi se n’è andato via con l’assurda velocità di quei giorni.
“Abbiamo voluto accendere un braciere - spiega il sindaco - perché sia luce di speranza e metterci dentro i nomi col desiderio che siano loro a illuminare il futuro della comunità. Questa commemorazione la dovevamo a chi non ha avuto un funerale, ma la dovevamo anche a noi. Non abbiamo voluto invitare autorità civili e militari proprio perché questa è la nostra serata”.
Dentro le fiamme finisce anche il foglio coi nomi di due abitanti entrambi di nome Mohamed. A loro, “ai nostri fratelli musulmani”, una donna di Albino dedica una preghiera islamica che si conclude con un amen, come la messa che chiude la cerimonia quando l'aroma di brace sale nell'aria fresca verso le montagne.