AGI - Si torna in aula per la verità sulla morte in Ucraina di Andy Rocchelli, ucciso a 30 anni mentre faceva quello che amava di più, scattare foto in tempi e luoghi di guerra. La difesa di Vitaly Markiv, il soldato condannato in primo grado a 24 anni di carcere per il suo omicidio, chiede nel processo d’appello che la giustizia italiana vada a vedere coi propri occhi dove per l’ultima volta brillò il talento di Andy, il 24 maggio del 2014.
Per lo Stato ucraino, "ci sono le condizioni per un sopralluogo" dove morì Andy
Lo Stato ucraino sarebbe “disponibile” a “garantire le necessarie condizioni di vigilanza, sicurezza e tutela” in vista di un eventuale sopralluogo delle autorità italiane per ricostruire la dinamica dell’omicidio del reporter italiano e del suo interprete Andrei Mironov.
Lo scrive l’avvocato Raffaele Della Valle, legale del sergente del corpo volontario della Guardia nazionale ucraina, nel ricorso d’appello che sarà discusso da domani nell’aula della Corte d’Assise d’Appello di Milano. Nel luglio del 2019, il Tribunale di Pavia, città natale di Rocchelli, ha ritenuto Markiv colpevole di avere ordinato al suo plotone di sparare contro le due vittime che stavano effettuando un servizio fotografico assieme al collega francese William Roguelon, rimasto ferito in modo grave. La difesa, si legge nel ricorso letto dall’AGI, chiederà di riaprire il dibattimento “per l’espletamento di un sopralluogo nella zona teatro del tragico evento e di un esperimento giudiziale in merito alla capacità e portata di un fucile AK-74 di mirare e attingere un bersaglio alla distanza di 1700 metri”.
La richiesta dell'esperimento col fucile
La richiesta di “una ricognizione nell’area percorsa dal giovane reporter italiano e da Roguelon e della cima della collina Karachun dove era posizionato l’esercito e la guardia nazionale ucraina” era già stata formulata in primo grado ma respinta. Con una motivazione considerata dalla difesa "illogica con travisamento delle carte processuali e dispregio dei canoni della scienza balistica”. “Solo la presenza effettiva sul territorio e la percezione fisica dei luoghi e della loro conformazione permettono di capire lo svolgimento dei fatti”, è la tesi, perché foto, video, registrazioni “non danno esaustiva contezza” dei posti e delle distanze.
I giudici avevano sostenuto, tra le altre cose, che era trascorso troppo tempo dai fatti per questo accertamento ma per Dell Valle “il sopralluogo ha quale obbiettivo la fisica e visiva percezione di elementi che certamente non sono mutati col passare degli anni”.
L’esperimento sulla portata del fucile AK-74 servirebbe a smentire la la tesi che possa essere stato fatto fuoco dalla collina di Karachun dove Markiv era di guardia. Il soldato aveva il compito, secondo la ricostruzione accolta in prima grado, di fare fuoco col fucile verso le persone sospette e di segnalare la loro posizione ai militari dell’esercito regolare in cima alla collina che avevano in uso l’arma da fuoco pesante (un tipo di mortaio) dalla quale sarebbero partiti i colpi. Per la sua difesa, dunque, Markiv “non ha partecipato alla sparatoria e i colpi che hanno attinto le vittime provengono certamente dai soldati filorussi o da entrambi gli schieramenti impegnati in un conflitto a fuoco”.
Il legale scrive che Markiv, cittadino italiano cresciuto con la mamma nelle Marche, "è un ragazzo che ha ideali e valori e che non ha esitato ad abbandonare la tranquilla e spensierata e comoda vita che aveva in Italia per andare a combattere per il suo Paese e rischiare ogni giorno la propria vita". L'accusa di omicidio aggravato dalla crudeltà è in concorso con altri militari. Il legale sostiene a questo proposito che Markiv "è a tutt'oggi un militare che ha dei doveri verso l'Arma di appartenenza e i suoi compagni, che tutela senza eccezioni di sorta anche quando la sua scelta si presenta (forse) contro il suo stesso interesse".
L'accusa in aula sarà rappresentata dal sostituto procuratore generale Nunzia Ciaravolo, che ha avuto una lunga esperienza di peacekeeping in Kosovo.