AGI - Si è aperto con una denuncia a sorpresa del pm Giovanni Musarò ("contro chi inquina le prove") il processo agli otto carabinieri accusati, a seconda delle posizioni, di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia in relazione a presunti depistaggi compiuti tra il 2009 e il 2015 per nascondere gli autori del pestaggio in caserma subito da Stefano Cucchi la sera in cui venne arrestato. Pestaggio che poi, per la gravità delle lesioni provocate, causò la morte del 31enne geometra sei giorni dopo all'ospedale Sandro Pertini.
"Ancora oggi nel 2020 nel reparto operativo dei carabinieri c’è qualcuno che passa gli atti a qualche imputato”, ha esordito in udienza il rappresentante della pubblica accusa. Musarò si riferiva, in particolare, ad alcuni documenti depositati la scorsa udienza dal difensore di uno degli imputati che non erano stati formalmente richiesti. “Siamo stanchi di questi inquinamenti probatori che vanno avanti da 11 anni e vogliamo identificare gli autori”, ha aggiunto il magistrato.
La replica dei legali della famiglia
Immediata la reazione dell'avvocato Fabio Anselmo, difensore di parte civile della famiglia Cucchi, che su Facebook ha rivelato come l’imputato tirato in ballo dal pm fosse Tiziano Testarmata, già comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo dei carabinieri: “Il pm Giovanni Musaró si alza e denuncia depistaggi in atto e documenti in possesso all’imputato Testarmata che non poteva avere. C’è un Giuda, dice il pm, un cavallo di Troia che speriamo di identificare che fornisce atti e documenti per una verità parziale e fuorviante. Come dire: non abbiamo finito e non finiremo mai di subire interferenze illecite".
Anselmo ha poi precisato meglio il concetto parlando con i cronisti: "All'udienza scorsa mi ero molto arrabbiato per il modo di procedere della difesa di Testarmata, in possesso di documenti che non erano nel fascicolo. Mi ero opposto alla loro produzione e al loro utilizzo chiedendo esplicitamente lumi sulle modalità con le quali ne era venuto in possesso. Avevo ragione. Testarmata ne era venuto in possesso". Indignata anche Ilaria Cucchi, sorella della vittima: "Ho sempre nutrito e continuo a nutrire profondo rispetto per L’Arma dei carabinieri - ha scritto su Fb -. Ritengo lo meriti assolutamente. Oggi, però, di fronte ai nuovi fatti, alzo le braccia. Abbiamo un Cucchi quater. Il lupo perde il pelo ma non il vizio".
Il processo nell'aula bunker
Il processo, in corso nell'aula bunker di Rebibbia, vede imputati 8 carabinieri con i ruoli dell'epoca: Luciano Soligo, maggiore al comando della compagnia Roma Montesacro, Francesco Cavallo, tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma, Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione di Tor Sapienza, e Francesco Di Sano, in servizio nella stessa stazione. Sul banco degli imputati anche il generale Alessandro Casarsa, già comandante del Gruppo Roma, Lorenzo Sabatino, che guidava il reparto operativo dei carabinieri di Roma, Tiziano Testarmata, e il militare Luca De Cianni.
Per la morte di Cucchi nel novembre del 2019 la corte d’Assise di Roma ha già condannato i carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo a 12 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. Per l’accusa di falso sono stati inflitti 3 anni e 8 mesi al maresciallo Roberto Mandolini (comandante della stazione Appia dove venne portato Cucchi) e 2 anni e mezzo al carabiniere Francesco Tedesco, assolto dall'accusa di omicidio, perché, in quanto super testimone, ha raccontato quanto accaduto nella caserma Casilina, dove avvenne il pestaggio, poco dopo l'arresto di Cucchi. Il 14 dicembre prossimo sarà celebrato il processo d'appello.