AGI - “L’istruttoria di questo processo è stata difficile perchè abbiamo fatto delle domande vent’anni dopo a persone a cui non avevano mai fatto domande del genere”. Così il pm Gabriele Paci ha descritto, nel corso del processo a Caltanissetta, il processo in cui a distanza di ventotto anni, il latitante Matteo Messina Denaro è accusato di essere il mandante delle Stragi del '92. Nuove testimonianze e una rilettura di vecchi verbali, hanno consentito alla Procura nissena di rileggere la leadership all'interno della mafia trapanese. Secondo il procuratore aggiunto, alla vigilia dei due attentati, i vecchi capi avrebbero fatto un passo indietro.
Due su tutti sono il vecchio don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo, e Mariano Agate, il capo del mandamento di Mazara del Vallo che il primo febbraio 1992 si consegnò in carcere, all'indomani della sentenza della Cassazione sul Maxiprocesso. "Il protagonismo di Matteo lo troviamo nell'intera stagione stragista - ha detto Paci durante la sua arringa, giunta alla settima udienza - e il suo nome è il collante tra diversi ambienti che si coagularono in quel periodo". Rispetto ai processi, definiti con sentenze passate in giudicato, "qui si aggiungono nuovi temi d'indagine mai esplorati in passato, perche' non funzionali alle imputazioni precedenti", ha detto il magistrato, riferendosi anche ai procedimenti istruiti negli anni novanta, quando da sostituto procuratore era in servizio a Trapani.
Nel corso della loro arringa, l'avvocato d'ufficio del latitante (Salvatore Pace, sostituito in aula dal collega Salvatore Baglio), aveva affrontato singolarmente le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, evidenziandone alcune incongruenze. "Se si perde di vista il concetto unitario di questa vicenda complessa - ha aggiunto Paci - si ha gioco facile a prendere i singoli elementi e farli a pezzi, parcellizzandoli". Secondo il pm Paci, Messina Denaro eredito' le redini della mafia trapanese nell'autunno del '91.
In alcune sentenze passate in giudicato, tra cui quella sull'attentato di Capaci, la leadership viene riconosciuta a Mariano Agate, che invece, nel corso della requisitoria dei mesi scorsi, e' stato declassato da capo del mandamento di Mazara del Vallo. "Nella sentenza d'appello pero' si dice che Agate e Matteo Messina Denaro erano i capi di fatto, pero' Agate era stato alla riunione di Enna e per quello venne condannato", ha detto Paci. Tuttavia, ha aggiunto il magistrato, "qui non si e' subordinato il ruolo di Matteo Messina Denaro alla sua presenza a riunioni di qualsiasi natura, il 90% dei condannati per quelle Stragi e' stato condannato per questo. Riferendosi a Mariano Agate ha precisato che, "e' deceduto ma se non fosse cosi', non avremmo minimamente pensato di avanzare una revisione di quella sentenza, che e' perfettamente sovrapponibile al ruolo del nostro imputato".
A chiarire il profilo del latitante a ridosso delle due stragi, "non ci sono soltanto i nuovi pentiti del trapanese, ma anche le dichiarazioni di Spatuzza e Tranchina", ha riferito il pm, oltre che "le intercettazioni di Toto' Riina in carcere, chiarissime nell'indicare chi era Matteo Messina Denaro, anche nel riferimento per l'omicidio di Paolo Borsellino a Marsala".
Nel 1991 in provincia di Trapani partirono delle collaborazioni, provenienti per lo piu dal settore del traffico di droga "che poi negli anni seguenti vennero smentiti dai componenti delle varie commissioni che dopo gli arresti iniziarono a collaborare". Tra questi c'era Vincenzo Calcara, definito in requisitoria come un 'inquinatore dei pozzi' dal pm Paci, riferendosi all'effetto delle sue dichiarazioni nella ricostruzione dei fatti.
Nel corso del processo a Caltanissetta aveva chiesto di essere ascoltato, senza esito. Adesso l'ex pentito ha inviato ai giudici della Corte tre missive, con numerose accuse nei confronti del magistrato Gabriele Paci, che adesso saranno spedite per competenza al Tribunale di Catania. "Le dichiarazioni del Calcara, in questo processo, sono gia' state valutate nel corso della requisitoria", ha detto il pm che, dopo aver preso visione delle tre lettere, ha chiesto la trasmissione degli atti al Tribunale di Catania, competente per i fatti che riguardano i magistrati in servizio nel distretto di Caltanissetta.
Nel carteggio, tra l'altro, l'ex pentito ricorda di aver iniziato la sua collaborazione con il magistrato Paolo Borsellino, confessando di essersi rifiutato di eseguire un attentato contro il giudice, ordinato da don Ciccio Messina Denaro. La famiglia di Paolo Borsellino si scaglia contro l'ex pentito Vincenzo Calcara. "Diffidiamo il signor Calcara dall'utilizzare strumentalmente qualunque riferimento alla vedova e ai figli del giudice Borsellino a sostegno di qualunque sua iniziativa e ribadiamo - dice l'avvocato Fabio Trizzino, legale dei familiari del giudice - la totale fiducia nei confronti della Procura di Caltanissetta e in particolare del dottor Gabriele Paci di cui in questi anni ha avuto modo di constatare una totale abnegazione e correttezza nella difficile ricostruzione e ricerca della verita' sulla Strage che ha condotto alla morte del nostro congiunto, dottor Paolo Borsellino".
"Noi della famiglia Borsellino, intesi Lucia, Fiammetta, Manfredi e mi permetto anche la signora Agnese hanno avuto totale fiducia nel lavoro di questa Procura - ha concluso il legale - di questa Procura che dal 2008 sta faticosamente cercando di mettere insieme i pezzi di una verità che è stata fondamentalmente allontanata dall'operato dall'altra Procura della Repubblica".