Agi - In Lombardia torna l'incubo legionella. Il focolaio scoppiato a Busto Arsizio (Varese), dove al momento si contano 16 casi, fa tornare alla mente i due precedenti del 2018. A luglio di quell'anno, infatti, scoppia un primo focolaio a Bresso, un comune alle porte di Milano.
Il batterio infetta 52 persone, provocando la morte di 5. Ma non è nulla rispetto a quello che accade un mese dopo nella pianura Bresciana. Un focolaio di polmonite batterica, sovrapposto alla legionella, colpisce 9 comuni e si estende anche all'alto Mantovano. Alla fine saranno circa 750 i casi diagnosticati, una media di 16 al giorno tra il 25 agosto e il 10 ottobre 2018, con almeno 7 morti.
Il report dell’Istituto superiore della sanità certificherà che l’epidemia di polmonite batterica registrata nella Bassa orientale è un "fenomeno inedito a livello nazionale e probabilmente continentale". Non è tanto il numero assoluto di contagi a rendere anomala l’ondata infettiva, quanto il rapporto tra la media di casi attesi e registrati, le dimensioni limitate del focolaio, l’aggressività del batterio che è andato a sovrapporsi a quello della legionella.
Nella zona "rossa", quella più colpita in provincia di Brescia, che comprende Carpenedolo, Montichiari, Calvisano, Visano, Remedello, Isorella e Acquafredda, durante il picco si è superata la media di 24 contagi al giorno. Secondo la ricostruzione, invece, la legionella in quell'occasione avrebbe provocato almeno due morti, con 56 casi diagnosticati. Tutto sarebbe partito dal fiume Chiese e amplificata dalle torri di raffreddamento delle aziende, che hanno alimentato i propri impianti con l’acqua prelevata dal fiume e dalla sua rete di affluenti. La siccità, infatti, aveva quasi seccato il Chiese, rendendo la sua acqua ideale per la proliferazione dei batteri.