AGI - Non si può parlare di moschea abusiva solo perché 80 persone si riuniscono al venerdì sera in preghiera.in un luogo che dovrebbe essere un negozio.
Con questa motivazione, la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza con cui nel novembre del 2019 la Corte d’Appello di Milano aveva condannato a un’ammenda di 3mila euro un cittadino ivoriano, O.S., per violazione del testo unico dell’edilizia. I giudici lo avevano ritenuto colpevole di avere cambiato la destinazione d’uso commerciale di un locale affittato ad Oggiono (Lecco) trasformandolo da negozio del centro storico a luogo di culto clandestino.
Il giudizio di primo grado
In primo grado era stato assolto dal Tribunale di Lecco ‘perché il fatto non sussiste. Ora gli ‘ermellini’ offrono una nuova interpretazione della vicenda, sottolineando che “alla luce della giurisprudenza amministrativa, non basta a configurare il mutamento della destinazione d'uso la semplice riunione in preghiera in un giorno della settimana, poiché di uso incompatibile o difforme può parlarsi se l'attività di preghiera non sia riservata solo ai membri dell'associazione o se il fine religioso rivesta carattere di prevalenza nell'ambito degli scopi statutari o effettivamente perseguiti da parte dell’associazione”.
Libertà di culto
In questo caso, è il ragionamento della Suprema Corte, che si richiama anche al principio costituzionale della libertà di culto, “dal solo dato della presenza di 80 persone riunite in preghiera il venerdì non può dedursi la sussistenza del requisito che giustifica la richiesta del permesso a costruire, sicché si rende necessario un accertamento più approfondito e una motivazione particolarmente rigorosa per pervenire alla condanna”.Ora il 33enne ivoriano, difeso dallo studio legale Sugamele, si profila un appello bis. La vicenda ha avuto anche risvolti civili e di giustizia amministrativa.