AGI - Sono stimate in 2 milioni le mascherine, tessili o chirurgiche, prodotte ogni giorno da circa 400 ditte italiane nella fase post coronavirus. Un'intera filiera, dunque, che si è riconvertita per la fabbricazione di un prodotto che nelle prime fasi della pandemia sembrava introvabile.
I dati forniti all'AGI sono della Cna Federmoda, che ha lavorato dai primi giorni dell'emergenza sanitaria, insieme ad altri partner, "per riportare nel nostro Paese una produzione ormai pressoché totalmente delocalizzata in aree dove il costo del lavoro è nettamente diverso a causa della mancanza del rispetto di condizioni sociali e ambientali, che sono patrimonio del made in Italy". Lo spiega all'AGI Antonio Franceschini, responsabile nazionale della Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa nel suo comparto tessile, ossia Federmoda, che precisa: "Tante piccole imprese si sono rimboccate le maniche e ci hanno messo la faccia".
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"Sono almeno 400 le imprese distribuite su tutto il territorio nazionale oggi in grado di fornire mascherine di varia tipologia, dalle cosiddette per la collettività e quelle chirurgiche", aggiunge Franceschini. Che sottolinea come "il sistema di artigianato e di piccole imprese del nostro Paese ha ancora una volta dimostrato di possedere grandi competenze, capacità e velocità di riconversione, mettendosi subito a disposizione dell'Italia in piena emergenza sanitaria".
La Cna Federmoda supporta la produzione italiana "sostenendo l'intera filiera", e spingendo a privilegiare "l'acquisto dei prodotti made in Italy". Anche nel caso della produzione di mascherine va ricordata - a detta degli artigiani - "l'importanza di una produzione sostenibile dal punto di vista sociale, etico e ambientale". Una sostenibilità anche umana, spesso dimenticata nei Paesi diventati 'grandi fabbriche del mondo', come Cina, India e Bangladesh: ancora vive le immagini della produzione di mascherine senza alcuna norma igienica o di diritto del lavoro nelle nazioni più povere, e spesso ad opera dei più piccoli.
Infine una considerazione generale sulla 'supply chain', cioè la catena delle forniture globalizzata che ha dimostrato tutta la sua fragilità al momento dell'arrivo del Covid, lasciando intere nazioni sguarnite di dispositivi fondamentali per la salute pubblica: " emerso - conclude Franceschini - in maniera palese, qualora ve ne fosse bisogno, anche per il consumatore finale quali siano le differenze tra il nostro modello sociale e produttivo e quello di Paesi da cui abbiamo importato tanto. Auspichiamo che questo possa essere un passo per portare ad un consumo consapevole".