Quattro ergastoli e un’assoluzione per non aver commesso il fatto. Si è concluso con la conferma della condanna di primo grado, il processo, celebrato davanti la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, nei confronti di cinque imputati accusati di aver ricoperto un ruolo nella strage di Capaci, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta. Ergastolo per i boss Salvo Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello. Assolto Vittorio Tutino.
L’accusa, sostenuta dal procuratore generale Lia Sava e dai sostituti procuratori generali Antonino Patti e Carlo Lenzi, aveva chiesto la condanna all’ergastolo per tutti gli imputati. La sentenza è stata emessa dopo cinque ore di camera di consiglio dalla corte presieduta da Andreina Occhipinti.
Fu Totò Riina a decidere la morte di Giovanni Falcone, nemico storico di Cosa nostra, ma si continua a indagare per individuare eventuali concorrenti esterni. La decisione venne adottata durante la riunione della commissione provinciale, convocata per gli auguri di Natale, svoltasi nel dicembre del 1991. In quella riunione, in un clima gelido, Cosa nostra dichiarò guerra allo Stato, con l’avvio della stagione stragista che doveva essere caratterizzata da una serie di omicidi eccellenti. Riina, dopo aver intuito gli esiti della sentenza del maxi processo, in quel summit era tranquillo perché nessuno si sarebbe opposto, nessuno avrebbe potuto dire di no.
La strategia di Cosa Nostra iniziò con l'omicidio Lima. Bisognava eliminare quei politici che non erano più suoi referenti, oltre che i nemici storici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E' stata ipotizzata, nel corso del processo, la presenza di una donna nel cantiere di Capaci. Nicoletta Resta, genetista, giunse a questa conclusione dopo l'analisi di alcuni reperti che vennero ritrovati in una busta a 63 metri dal cratere provocato dall'esplosione.
Vennero rinvenuti, all'interno di una busta del mastice, un paio di guanti in lattice e una torcia. L’accusa ha sostenuto che nel corso di questo processo si è riusciti a comprendere dove è stato preso il tritolo e chi lo ha macinato. E questo grazie alla collaborazione di Cosimo D'Amato, la cui decisione di collaborare faceva paura a Cosa Nostra.
“Auspichiamo sempre che ci sia qualche nuovo apporto collaborativo sia all’interno dell’organizzazione mafiosa e, mi riferisco ai grossi calibri di Cosa nostra al 41 bis oppure a qualche esponente delle istituzioni di quell’epoca che potrebbe decidere di dare qualche ulteriore chiarimento. E’ necessario auspicare questo perché consentirebbe forse a questo Paese di voltare pagina e andare avanti”, ha detto il procuratore generale di Caltanissetta, Lia Sava, a margine della sentenza emessa dalla corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta sulla strage di Capaci.
“Più volte – ha aggiunto Sava - abbiamo detto che le indagini sulle stragi non si fermano. Sia la procura di Caltanissetta che altre procure continuano ad indagare sotto il coordinamento della Direzione nazionale antimafia. E’ chiaro che i processi arrivano quando si maturano elementi di prova che possano sostenere l’accusa in giudizio. Dopo 28 anni speriamo ancora che si possano legare insieme tutta una serie di elementi per scoprire le zone d’ombra che ancora ci sono. Aspettiamo anche la sentenza sul coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nelle stragi di Capaci e via D’Amelio e il processo sul depistaggio. Non credo che si tratti di un sistema che non abbia funzionato. Si tratta di una congerie di elementi peculiari di fronte ai quali ci si è ritrovati ad interagire e non è stato facile verosimilmente anche per chi all’inizio ha affrontato questi processi mettere insieme tutti i tasselli. Ventotto anni fa, determinate conoscenze tecnico scientifiche non c’erano. Alcuni elementi adesso li abbiamo focalizzati grazie alla scienza. Pensiamo alla presenza di dna e ai reperti sequestrati il giorno della strage e che abbiamo potuto analizzare minuziosamente”.
“La sentenza della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta conferma il grande impegno della Procura e della Procura generale che sono riuscite a scrivere i capitoli finora rimasti oscuri dell’attentato, individuando la responsabilità dei capimafia che erano riusciti a sfuggire alle indagini”, ha detto la professoressa Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone.
“Il prezioso lavoro dei magistrati di Caltanissetta che non hanno mai smesso di cercare la verità sugli eccidi del ‘92- ha aggiunto - ci consegna finalmente un quadro più nitido di quanto avvenne quel tragico 23 maggio di 28 anni fa”. “L’auspicio ora - ha concluso - è che si arrivi in tempi celeri alla conclusione dell’ultima tranche aperta del processo che vede imputato il boss latitante Matteo Messina Denaro”.