AGI - Il vaccino contro il Covid-19 allo studio a Oxford, a cui dà un contributo rilevante la Irbm di pomezia, si è finora dimostrato sicuro per l'uomo e ha prodotto forti reazioni immunitarie tra i pazienti coinvolti nella prima fase dei test clinici. Lo studio è stato condotto tra oltre mille adulti in Gran Bretagna e ha consentito di scoprire che il vaccino ha indotto "risposte immunitarie forti, con anticorpi e cellule T", le cellule assassine.
Uno studio separato condotto in Cina e che ha coinvolto più di 500 persone ha, inoltre mostrato che la maggior parte dei pazienti aveva sviluppato una risposta immunitaria anticorpale diffusa.
Gli studi sono stati pubblicati entrambi sulla rivista The Lancet e gli autori sostengono di aver riscontrato pochi effetti collaterali negativi. Tuttavia, hanno avvertito che sono necessarie ulteriori ricerche, in particolare tra gli adulti più anziani, quelli più a rischio di contagio e di morte.
Uno dei coautori, la professoressa Sarah Gilbert dell'Università di Oxford, ha dichiarato che i risultati sono "promettenti. Se il nostro vaccino è efficace, è un'opzione promettente perché questi tipi di vaccini possano essere prodotti su larga scala".
La speranza viene da Oxford
Il nome, come sempre nelle fasi di sperimentazione, è impronunciabile: ChAdOx1 nCoV-19. Ma il vaccino messo a punto nei laboratori dello Jenner Institute dell’Università di Oxford, in collaborazione con l’Oxford Vaccine Group, e con il rilevante contributo tutto italiano della Irbm di Pomezia, è una delle speranze più concrete per debellare il coronavirus. Lo testimoniano gli ingenti fondi stanziati da Gran Bretagna e Usa, senza ancora avere la certezza della reale efficacia, a cui ha replicato il mese scorso l'accordo firmato da Italia, Germania, Francia e Olanda per distribuire in Europa 400 milioni di dosi. Di certo i risultati, ottenuti a tempi di record, sono promettenti: dopo aver dimostrato sicurezza ed efficacia sugli animali, la sperimentazione sull'uomo del candidato vaccino italo-britannico è entrata in una fase cruciale.
Già svolti i test sui primi volontari, infatti, è scattata la somministrazione su diecimila persone, per un ampio studio di fase II/III da cui si attende il responso definitivo, previsto prima dell'inverno, ma i cui risultati preliminari, si legge oggi su Lancet, parlano già di "una forte risposta immunitaria".
Il vaccino si basa sulla tecnica del "vettore virale", ossia l'utilizzo di un virus simile a quello che si vuole prevenire ma non aggressivo, a cui si "incollano" le informazioni genetiche che si spera facciano scattare la risposta immunitaria dell'organismo.
Di Lorenzo (Irbm),a fine anno prime dosi vaccino
"Se i test di fase 3 sul nostro candidato vaccino ci daranno i risultati sperati, è possibile ipotizzare che già entro fine anno avremo le prime dosi destinate alle categorie più a rischio", ha detto all'AGI Piero Di Lorenzo, il presidente e amministratore delegato della IRBM. "Non cantiamo vittoria, ma incrociamo le dita", precisa Di Lorenzo. "Sono molto orgoglioso di aver fatto parte di questo progetto insieme a due grandi colossi, come Oxford e AstraZeneca", aggiunge.
I test sono stati condotti in Inghilterra, Brasile e Sud Africa. "L'Italia no perché non abbiamo più da tempo l'ambiente virale adatto per sperimentare e anche in Inghilterra sta iniziando a venire meno", spiega Di Lorenzo. Questo non significa che il nostro paese non avrà alcun vantaggio dall'aver preso parte allo sviluppo di questo candidato vaccino.
"Con la firma apposta dal nostro ministro della Salute Speranza all'accordo con Germania, Francia e Olanda, l'Italia non dovrebbe avere problemi di disponibilità del vaccino, qualora il nostro candidato lo diventi". I tempi sono piuttosto stretti. "Ci aspettiamo di avere i risultati dei test di fase 3 a settembre. Se tutto andrà come sperato - conclude Di Lorenzo - prima della fine di quest'anno avremo a disposizione diverse dosi da somministrare alle categorie piu' a rischio".