Sono ancora in corso, dopo 2 giorni, le acquisizioni delle fiamme gialle negli uffici della società Aria, la centrale acquisti regionale, e anche nella sede della Regione Lombardia, nell'ambito dell'inchiesta della procura di Milano sull'acquisto di camici dalla Dama Spa, l'azienda di proprietà del cognato del governatore Attilio Fontana. Gli uomini del nucleo valutario della Guardia di Finanza stanno cercando documenti sulla vicenda da mercoledì e non hanno ancora terminato di ispezionare carte, file archiviati e soprattutto una documentazione mail corposa.
Proprio questo pomeriggio, mentre i finanzieri insieme ai consulenti di Price Waterhouse Coopers nominati dalla procura, erano ancora negli uffici di Aria, il dg Filippo Bongiovanni, che risulta indagato, ha chiesto di lasciare l'incarico per essere assegnato a nuova destinazione. Secondo quanto trapela dalle indagini, nel periodo dell'emergenza, Dama non aveva sottoscritto il patto di integrità che all'articolo 3 prevede di dichiarare di non trovarsi in conflitto di interesse se si vuole accedere ad una fornitura per una stazione appaltante pubblica. A non presentarlo, tuttavia, non era stata solo l'azienda di Andrea Dini, cognato di Fontana (e in cui sua moglie ha una quota del 10%) ma anche altre aziende che hanno fornito camici e dispositivi di protezione individuale alla Regione nel periodo più nero dell'emergenza.
Gli inquirenti però sarebbero convinti che Bongiovanni sapesse del conflitto di interesse e che nonostante questo l'acquisto dei camici sia partito lo stesso. Solo in un secondo momento - ipotizzano i pm - la fornitura è stata trasformata in donazione, su "interessamento" dello stesso governatore. Aria, società in-house e di proprietà della Regione, e con una sua autonomia rispetto all'ente, nel momento della pandemia avrebbe anche trasformato il suo consueto compito di "preparatore" delle procedure di gara per gli enti regionali a vera e propria centrale di committenza, vista la necessità di reperire materiali sul mercato. Quindi, mentre prima curava soltanto la scelta dei contraenti, vista l'emergenza, è passata poi ad avere un ruolo esecutivo negli acquisti pubblici regionali.
Secondo le informazioni raccolte inoltre la Dama SpA avrebbe dovuto produrre circa 5mila camici al giorno, per ottemperare all'impegno preso con la Regione Lombardia. In questo modo, di fatto avrebbe "saturato" la sua capacità produttiva di camici e dispositivi di sicurezza di "terza categoria", cioè destinati a medici e infermieri degli ospedali. Una produzione che le avrebbe consentito di proseguire a tenere aperte le fabbriche anche durante il lockdown, ovvero in un momento di calo assoluto delle vendite. Il circuito industriale sarebbe stato interamente impiegato nei camici e prova ne è che il "contratto" stipulato con la regione sarebbe stato di "esclusiva". Uno dei motivi per cui i magistrati ritengono che fosse chiaro fin da subito che non si trattasse di una donazione.