Quanto potrà durare ancora la nuova fuga di Graziano Mesina? A Orgosolo, il suo paese dov'era tornato a vivere un anno fa col nipote a casa della sorella, dopo la scadenza dei termini di carcerazione, si dubita che l'ex ergastolano possa resistere a lungo.
La più accreditata resta l'ipotesi della volontà di una trattativa per condizioni detentive meno pesanti, per scontare i 30 anni della nuova condanna, alla peggio in un carcere vicino al suo paese, a Nuoro, dove i parenti possano andare a trovarlo. Polizia e carabinieri intensificano il dispositivo di controlli serrati attorno al paese e lo estendono a macchia d'olio, con posti di controllo anche sulle arterie principali in entrata e uscita dal Nuorese.
Stamattina nelle strade centrali di Orgosolo, una domenica soleggiata, era tutto un via vai di pattuglie e camionette delle forze dell'ordine. Il sospetto è che qualcuno protegga 'Grazianeddu', dopo averlo aiutato a lasciare la casa di Corso Repubblica dove aveva l'obbligo di dimora notturno prima che i carabinieri potessero arrestarlo notificandogli la sentenza definitiva della Cassazione per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga.
Mesina non guida, finora si è sempre fatto accompagnare negli spostamenti che richiedevano l'auto. Difficile immaginare che sia riuscito ad allontanarsi molto. Non convincono gli investigatori le ipotesi circolate in questi giorni di una sua fuga in Corsica, tantomeno in Tunisia, che sarebbe avvenuta grazie a ipotetici vecchi legami con 'amici' che potrebbero averlo aiutato a lasciare la Sardegna. Perquisizioni e controlli negli ultimi giorni si sono concentrati sulla cerchia più intima di conoscenti, familiari, senza escludere donne con cui aveva avuto una relazione, anche fuori dalla provincia di Nuoro.
I tempi sono cambiati, rispetto a quando l'ex ergastolano, per sfuggire al carcere, si rifugiava, da giovane, sul Supramonte, contando anche sul sostegno di pastori e su una sorta di 'codice' non scritto che impone di dare asilo negli ovili isolati a chi ha bisogno. Questa forma di 'solidarietà', iscritta negli usi del luogo, si è col tempo affievolita. Forse il denaro, quello, più che altre forme di malintesa lealtà o gratitudine, potrebbe comprare l'aiuto e il silenzio che proteggono la fuga di Mesina. Lo spiegano i ben informati a Orgosolo, persone che conoscono il Supramonte quanto se non meglio di Mesina. Chi parla, pero', lo fa solo dietro la garanzia dell'anonimato, pegno da pagare per penetrare un mondo chiuso e prudente come quello di Orgosolo.
Potrebbe averlo aiutato, a questo punto anche portandolo fuori da Orgosolo, anche chi aveva una sorta di debito con 'Grazianeddù, che ha sempre elargito, a modo suo, favori (anche denaro in prestito, ai tempi d'oro delle interviste a giornali e tv dopo la grazia ottenuta dal presidente della Repubblica nel 2004) a chi glieli chiedeva: rientrava nel personaggio, ne alimentava il carisma. "Una sua caratteristica è sempre stata l'ossessione di mantenere la parola data", racconta un compaesano che l'ha conosciuto da vicino.
"Se prometteva una cosa a qualcuno, non si dava pace finchè non riusciva a soddisfare la richiesta". Se ne parla al passato, sempre più spesso, perchè non esiste più il Mesina costruito dai racconti mediatici, quel personaggio sopra le righe di cui molti compaesani ritengono sia rimasto vittima 'Grazianeddu', uomo in realtà molto più fragile di quanto volesse apparire. Chiunque l'abbia frequentato nell'ultimo anno l'ha percepito: a 78 anni, sempre più solo, con qualche problema di salute, affaticato, sull'ex ergastolano classe 1942 hanno lasciato i segni gli oltre 40 anni di carcere.
Attorno alla sua storia si dispiega l'anima nera di Orgosolo: quel nucleo delinquenziale, che ha alimentato sequestri di persona, omicidi, rapine, raid vandalici, si annida da tempo immemorabile nel paese. Incistato fra le tante persone perbene del posto, il germe criminale si rinnova generazione dopo generazione, sussurrano quelli che lavorano onestamente e vorrebbero vederlo scomparire, ma si costringono a conviverci, nel tentativo di proteggere se stessi e i propri figli.
Perché se sei nato in una comunità di 4 mila anime dove ci si conosce tutti e le parentele sono intrecci indistricabili è difficile denunciare, affidarsi alle forze dell'ordine. Ed ecco com'è potuto succedere, di recente, che quella notte in cui due incappucciati hanno sparato contro le telecamere della videosorveglianza in pieno centro, vicino alla casa di Mesina, qualcuno che passava di là non sia intervenuto per fermarli e abbia tirato dritto.
Carabinieri e polizia si misurano da sempre con la diffidenza degli abitanti del posto, i quali, a loro volta confidano di temere il "tradimento" dello Stato. Risultato: la collaborazione della gente del posto non è esattamente il primo sostegno su cui gli inquirenti possono contare quando indagano su un crimine compiuto a Orgosolo. Eppure il concetto di legalità è ben presente nella parte sana del paese, che lo integra con quello del rispetto e cerca di inculcarlo ai figli, sperando che quando si presenterà il bivio - perché sanno che accadrà - in cui i ragazzi dovranno scegliere fra una vita onesta e di lavoro e un percorso criminale non si lascino sedurre dai soldi facili del secondo. "Noi li vediamo in paese quelli che non lavorano, ma si tolgono un sacco di sfizi", racconta una fonte che chiede di restare anonima.
E come fanno? Il business illecito degli ultimi anni - come documentano le operazioni di questura e comando provinciale dei carabinieri di Nuoro - è la droga, la coltivazione di cannabis per la produzione di marijuana. Ai primi dello scorso novembre, per esempio, nelle campagne di Orgosolo ne erano state estirpate 900 piante. Lo stesso mese, in un'altra operazione erano stati sequestrati circa 700 chili di marijuana.
La droga era affare anche di Mesina, secondo quanto accertato nell'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Cagliari che ha portato al suo clamoroso arresto nel 2013 e che gli è costata l'ultima condanna, definitiva, questa settimana in Cassazione. Eppure lui, durante il processo di primo grado, nel 2016 di era difeso cosi': "La droga non l'ho mai toccata e se la vedo neppure la riconosco", aveva dichiarato, negando di aver mai fatto parte di una banda di trafficanti, "neppure quando ero latitante".