AGI - Processare i presunti autori del duplice omicidio dell'agente Nino Agostino e della moglie incinta Ida Castelluccio. A sollecitarlo è la procura generale di Palermo che ha chiesto il rinvio a giudizio per i boss Antonino Madonia e Gaetano Scotto con l'accusa di duplice omicidio e per Francesco Paolo Rizzuto per il reato di favoreggiamento aggravato. La sera del 5 agosto 1989 l'agente della polizia di Stato Antonino Agostino e la giovane moglie Giovanna Ida Castelluccio furono uccisi a colpi di arma da fuoco davanti all'ingresso dell'abitazione estiva della famiglia Agostino, a Villagrazia di Carini (Palermo). A sparare furono due killer giunti a bordo di una moto di grossa cilindrata, successivamente rinvenuta parzialmente bruciata non distante dal luogo dell'eccidio. Ida Castelluccio si trovava in stato di gravidanza. Da allora, in attesa della verità, il papà del poliziotto, Vincenzo Agostino, non si è più tagliato la lunga barba bianca.
Insomma, dopo 31 anni arriva la svolta. Le indagini si sono rivelate sin da subito particolarmente complesse, principalmente per alcune evidenti anomalie. In primo luogo, risultava assente un qualsiasi movente plausibile. Dalle prime investigazioni ed in specie dalle dichiarazioni dei suoi 'superiorìi' Nino Agostino appariva essere un agente addetto al servizio Volanti del commissariato di Palermo - San Lorenzo, che non aveva mai svolto attività investigativa nè, tantomeno, ricoperto incarichi sensibili. Nessuna ombra del resto, vi era mai stata sulla sua vita professionale. In secondo luogo erano stati sottratti alla conoscenza della magistratura documenti essenziali per l'accertamento della causa dell'omicidio, mediante la distruzione di manoscritti di Agostino ritrovati nel corso di una perquisizione eseguita dopo il duplice delitto.
L'accertamento dei fatti è stato altresì ostacolato dalla iniziale reticenza di vari soggetti informati della segreta operatività di Agostino nell'ambito di una struttura di intelligence, nonchè dall'assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, indici entrambi del regime di segretezza che aveva caratterizzato l'ultimo segmento di vita della vittima e le ragioni della sua uccisione che dovevano restare occulte anche all'interno di Cosa nostra.
Nella complessa ricostruzione della procura generale di Palermo, basata sulle indagini condotte dalla Dia e su inedite dichiarazioni di collaboratori di giustizia, di persone informate, su intercettazioni e su risultanze investigative acquisite nell'ambito di un'attività di coordinamento con altre procure, è emerso che l'agente Agostino, ha assolto anche 'mansioni coperte', che esulavano dai suoi compiti ordinari istituzionali, con particolare riferimento a iniziative svolte insieme a esponenti di spicco dei Servizi di sicurezza ed apparentemente finalizzate alla ricerca di grossi latitanti di mafia. Acquisite dichiarazioni da parte di alcuni collaboratori di giustizia sugli esecutori materiali del delitto, indicati in Gaetano Scotto e Antonino Madonia, nonchè in ordine al movente, "ambientato nel torbido terreno di rapporti opachi tra componenti elitarie di Cosa nostra ed alcuni esponenti infedeli delle istituzioni.
È emerso che Agostino faceva parte, insieme a Emanuele Piazza, Giovanni Aiello (detto 'Faccia da mostro'), Guido Paolilli (anche lui agente della polizia di Stato che aveva provveduto a reclutare lo stesso Agostino), e altri componenti allora apicali dei Servizi di sicurezza, di una struttura di intelligence che, "in fase di reclutamento", spiega la Dia, "veniva rappresentata con la finalità della ricerca di latitanti, ma che in realtà si occupava di gestire complesse relazioni di cointeressenza tra alcuni infedeli appartenenti alle istituzioni e Cosa nostra".
È venuto fuori, pure, "da molteplici prove", che Agostino aveva, nell'ultima parte della sua vita, compreso le reali finalità della struttura cui apparteneva (alla quale aveva offerto una pista molto seria - legata a familiari della moglie - per pervenire alla cattura di Salvatore Riina a San Giuseppe Jato), e se ne era allontanato poco prima del suo matrimonio, fatto che era stato posto a fondamento della decisione di uccidere lui e la moglie.
In particolare, sono oggetto della istruttoria rapporti di appartenenti alle istituzioni con Madonia, incontrastato capo del mandamento di Resuttana, e Scotto, anche lui appartenente allo stesso mandamento e da sempre indicato come trait d'union con appartenenti ai Servizi di sicurezza. Le prove raccolte riguardano non solo dichiarazioni di collaboratori di provata fede (come Vito Galatolo, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo, Giuseppe Marchese, Francesco Onorato) ma anche di testimoni vicini ad Agostino, colleghi e familiari. Ulteriori conferme sono scaturite dalle intercettazioni che hanno dimostrato il coinvolgimento della struttura in alcuni importanti depistaggi.
Dalle indagini condotte dalla Dda di Palermo e acquisite dalla procura generale, sono emersi anche rapporti di Agostino con Giovanni Falcone nella fase in cui questi stava conducendo investigazioni delicatissime sulla 'pista nera' per l'omicidio del presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella. Nel contesto delle nuove indagini è emersa la figura di Francesco Paolo Rizzuto, detto "Paolotto", nel 1989 ancora minorenne, amico personale di Antonino Agostino. Come risulta in atti, al momento del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Antonino ad una battuta di pesca. Successivamente, i due avevano dormito presso l'abitazione estiva degli Agostino a Villagrazia di Carini. La mattina dopo, Agostino si sarebbe recato in ufficio, mentre Rizzuto si sarebbe attardato presso gli Agostino.
In merito, è stato grazie alle investigazioni condotte dalla Dia di Palermo che è stato possibile raccogliere prove, attraverso attività tecniche riservate, che ora sono al vaglio del gup, sul fatto che Rizzuto, in piu' occasioni, avrebbe reso dichiarazioni false in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto e, in generale, su quanto a sua conoscenza. Tramite intercettazioni è risultato che ha dichiarato a un parente di avere visto Agostino a terra sanguinante e di essersi sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell'amico, per poi fuggire buttando via l'indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l'omicidio.
"La famiglia Agostino finalmente puo' darsi pace. Mia moglie, che diceva sempre che non avrebbe riposato in pace senza verità e giustizia per Nino, finalmente potrà dormire serena in cielo". Lo ha detto all'AGI Vincenzo Agostino, papà del giovane agente. "La notizia della richiesta del processo non è solo per la famiglia Agostino, ma per tutta l'Italia. Finalmente abbiamo trovato persone oneste che hanno fatto giustizia", ha spiegato il papà di Nino, con la voce rotta dall'emozione.