Mi manda 'Matteo Messina Denaro'. Se non fosse che si ha a che fare con il sanguinario boss super latitante, si potrebbe parodiare il titolo di uno storico film italiana di Nanny Loy per una delle storie contenute nelle carte di 'Eden 3', l'ordinanza del blitz che la scorsa settimana ha condotto all'arresto di due favoreggiatori del mafioso di Castelvetrano.
Al centro c'è un tentativo di estorsione "oscuro e confuso", sulla cui autenticità "mostravano di avanzare pregnanti dubbi" perfino le vittime. Per i pm di Palermo dietro alle minacce recapitate agli eredi di un boss ci sarebbe Matteo Messina Denaro, che viene indagato per estorsione, ma per il gip di Palermo "è anche rimasto confuso quale comportamento fosse imposto ai titolari del fondo".
L'episodio riguarda un feudo in contrada Zangara a Castelvetrano, che il padre del latitante, don Ciccio Messina Denaro, aveva intestato ad Alfonso Passanante, padrino defunto di Campobello di Mazara. Una pratica molto diffusa negli anni in cui i corleonesi scorrazzavano nel trapanese e Totò Riina acquistava case e terreni, la cui proprietà reale era schermata da tanti prestanome.
Tanto che Passanante - come è emerso dal processo a carico dell'ex senatore Antonio D'Alì, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa - fu titolare di un "preliminare di vendita" anche di un altro terreno, poi venduto "fittiziamente" dal futuro politico a Francesco Geraci (amico del latitante, poi divenuto collaboratore di giustizia) e infine ceduto ai Sansone, famiglia di riferimento di Riina.
Dopo la morte di Passanante molte proprietà passarono ai suoi eredi: il 29 dicembre 2013 la figlia venne intercettata dalla Squadra Mobile di Trapani mentre raccontava il "tentativo di estorsione" ad "opera nientemeno che del noto latitante" Matteo Messina Denaro. In quei mesi gli investigatori monitoravano il boss Vito Gondola, capo del mandamento di Mazara del Vallo, tornato in carcere nel 2015 e morto due anni dopo per cause naturali.
Così ascoltarono lo sfogo di Giuseppina Marzia Passanante, mentre chiedeva conto a Gondola di una missiva "con minacce di morte" che gli aveva recapitato Vincenzo La Cascia, altro boss nel frattempo arrestato. "Zu Vi, noialtri non possiamo intanto non rispettare diciamo quelle che erano le volontà", diceva il marito della figlia di Passanante, che faceva capire a Gondola di temere per i suoi figli. "I vostri figli che c'entrano..", diceva Gondola e la donna precisava che "nella lettera così c'era scritto, zu Vito". "Ma quale ammazzare", rispondeva Gondola, che si stupiva come mai "nessuno si è presentato da me".
Nella conversazione gli eredi di Passanante ricostruiscono i rapporti tra il vecchio capomafia e don Ciccio Messina Denaro. "Allora ci fu data (la terra, ndr) a mio padre, ma a mio padre gli è stata data non perchè gliel'ha chiesta - diceva la donna - ma perchè in un contesto al padrone gli è stato chiesto, dice ma tu questa terra a chi la devi intestare, e quello ha detto una parola, qua dentro c'è solo un cristiano che si puo intestare le mie cose, e chi è? ed era mio padre..".
"Quando lo zio Ciccio era vivo e succedeva qualche cosa, veniva e gli diceva ascolta..ma cosa è successo, ma questa cosa, si parlava, no che ora a me mi fanno arrivare questa razza di lettera, sempre che l'ha scritta suo figlio, perchè io ho i miei dubbi", continuava l'erede di Passanante. "Ebbene, non può non rilevarsi come gli unici elementi sopra raccolti siano insufficienti a fondare l'ipotesi accusatoria e soprattutto a farla risalire agli attuali indagati - scrive il gip Claudia Rosini - se pure una pregevole opera di ricostruzione ed interpretazione della polizia giudiziaria abbia individuato nel noto latitante il soggetto cui si riferivano gli interlocutori quale mittente la missiva; di ipotesi, appunto, si tratta, tra l’altro poco conciliabile con gli ottimi rapporti vantati dai coniugi con i vari membri della famiglia Messina Denaro”.
Il Gip evidenzia inoltre la "contraddizione intrinseca che toglie gravità agli elementi indiziari acquisiti" perchè "le persone offese si sarebbero, bellamente, rifiutate di soggiacere, e ciò nonostante una lettera di minacce proveniente dallo stesso latitante, sulla cui autenticità però mostravano di avanzare pregnanti dubbi".